Il filosofo nicoterese Antonino De Bella. Un apprezzato pensatore dell’ottocento.

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Il filosofo Antonino De Bella, nacque a Nicotera (allora in provincia di Catanzaro) il 10 agosto 1850 da Francesco e da Teresa Mamone. Compiuti gli studi secondari nel locale seminario, s’iscrisse all’università di Napoli, dove tra il 1867 e il 1868 seguì le lezioni di A. Tari e di B. Spaventa, il filosofo hegeliano che tanta influenza esercitò sulla cultura italiana del tempo. Rientrato a Nicotera senza aver conseguito la laurea in legge, continuò da autodidatta gli studi, insegnando nel ginnasio e svolgendo la professione di causidico di pretura.

Imbevuto fin dall’età giovanile di idee internazionaliste, pur oscillando tra mazzinianesimo e bakuninismo, fu in Calabria tra i primi fautori del socialismo. Nel 1871 fondò a Nicotera, primo di una serie, un generico circolo, trasformatosi poi in Società dei razionalisti o dei liberi pensatori, affine ai programmi dell’Internazionale; nel 1872 aderì al congresso democratico di Firenze, organizzato da Il Libero pensiero di L. Stefanoni, per realizzare l’unione, auspicata da Garibaldi, delle forze democratiche e moderate e l’estromissione dei rivoluzionari più accesi e pericolosi; nel 1877, dopo aver approvato il manifesto programmatico della federazione lombarda dell’Associazione internazionale degli operai, il De Bella, si fece rappresentare al secondo congresso della Federazione dell’Alta Italia a Milano. Esaurita così una prima fase, il suo impegno passò alla costituzione del partito socialista, di cui, peraltro, aveva ravvisato la possibilità già alla fine degli anni ’70, nel corso della nota polemica tra anarchici e socialisti, nella quale intervenne cercando di propugnare una conciliazione tra le due tendenze.

La sua adesione alla corrente evoluzionistica, alla quale non fu estraneo il Malon, conosciuto probabilmente dal De Bella. durante il primo soggiorno siciliano dell’esponente socialista francese, fu espressa in una sua rivista, Evoluzione, pubblicata a Nicotera nel 1883, che sotto la spinta, in quegli anni, della crescente circolazione delle opere di Darwin, di Spencer e di Haeckel, si proponeva la diffusione delle teorie evoluzionistiche e di quelle naturaliste e la loro applicazione ai fenomeni morali e sociali. L’evoluzionismo e la teoria del progresso su matrice scientifica che il De Bella, espose nei Prolegomeni di filosofia elementare (Torino 1887) lo portavano pur tuttavia a sostenere esplicitamente principi contrari al marxismo.

In quest’opera di carattere generale, primo tentativo d’introdurre il nuovo sistema della filosofia positivista, come affermazione dell’evoluzionismo materialista (a giudizio del Turati uno dei migliori compendi di filosofia positivista), il De Bella, affronta il problema epistemologico con particolare riguardo ai rapporti tra la filosofia e le scienze, viste come alternative alle metafisiche ed alle visioni religiose del mondo, fra le quali, in primis, il cattolicesimo, considerato forza negativa al servizio della reazione e dell’immobilismo.

Cessate nello stesso 1883 le pubblicazioni della “gazzetta mensuale” che le autorità di polizia definivano un “periodico repubblicano”, collaborò alla Rivista di filosofia scientifica di E. Morselli, il massimo organo del positivismo italiano, nel quale si riscontravano le sfumature più diverse, da quelle democraticamente più avanzate a quelle conservatrici e a quelle francamente reazionarie e razzistiche. Il De Bella, può essere annoverato fra quella corrente di “socialisti conservatori” dottrinari e, a giudizio del Bufferetti, autori di scritti caratterizzati da “generale vuotaggine”, i quali, pur sottolineando la solidarietà che deve esistere fra i componenti dell’organismo sociale, non sono tuttavia in grado di intervenire sulla realtà esistente e di trasformare, così, il sistema in vigore.

Sempre più estraneo ed ostile al marxismo, il De Bella, si pose dunque in una prospettiva socialista ancora astratta, nella quale alcune generiche istanze capitalistiche si mescolavano disordinatamente con ideologie che col socialismo non avevano nulla a che fare, partecipando altresì del generale orecchiamento darwin-spenceriano (il cosidetto “darwinismo sociale”) di moda nell’intellettualità legata alle posizioni del socialismo ufficiale.

Il primo tomo dei corso di sociologia (dei cinque volumi previsti solo due ne furono pubblicati), la Sociologia generale (Nicotera 1895), il quale tratta i primi principi delle scienze sociali e giuridiche, venne così costruito attorno alle teoriche dell’evoluzionismo, non solo applicando “l’ipotesi biologica di Darwin” o “tutto quanto le scuole spenceriana o schaffliana pensano a proposito dei superorganismi”, ma dimostrando la fallacia delle previsioni malthusiane che pretendevano risolvere “sulla via dell’indeterminato e dell’indefinito la teoria del progresso”.

Successivamente, nel solco di Colaianni e Ferri che avevano ripreso e rimesso in giro, soprattutto il secondo, la definizione secondo cui “il socialismo marxista non è che il complemento pratico e fecondo nella vita sociale della rivoluzione scientifica del Darwin (nella foto) e dello Spencer”, il De Bella, si ricredette, operando una sorta di palinodia, e nel secondo volume, la Sociologia genetica (Messina 1898), recante una significativa dedica al partito socialista, corresse, in parte, la prima impostazione, dimostrando l’accettazione di un marxismo deterministico.

Sostenitore del materialismo storico, che egli cercò di difendere a spada tratta e di applicare in tutta la sua portrta ai fatti storici, volle dare un saggio di come si possono armonizzare nella infinita esperienza storica e il biologismo sociale e il materialismo di Marx ed Engels.

Queste sue convinzioni erano state da lui formulate in uno scritto pubblicato sulla Critica sociale (1° giugno 1897), Socialismo antiscientifico, in cui attaccava i socialisti più fedeli al pensiero di Marx ed in particolare, rivendicando il carattere positivista del socialismo, chiamava in causa il Labriola, (nella foto) ponendosi la questione “se dei socialisti, ancorché grandi, possono, per non aver lette le opere di tutti i positivisti, parlare col massimo disprezzo di ciò, che deve reputarsi come base del socialismo”. Il Labriola rispose sulla stessa rivista con uno scritto a cui il Nostro replicò ancora con Socialismo esclusivista, in Critica sociale (16 giugno 1897), riaffermando la sostanziale convergenza e la comune fede nel socialismo e lasciando cadere, di fatto, la polemica.

Negli anni ’90 fu in prima linea nella formazione di un movimento socialista nella regione. Nel 1896 fu nominato componente calabrese della Federazione socialista, costituitasi nel I congresso regionale di Palmi e rappresentante della direzione nazionale del partito, per la Calabria. Nel 1897 fu eletto consigliere comunale a Nicotera e Sindaco della città nelle file del Partito Operaio Democratico ma venuto in odio ai conservatori, fu sospeso dall’incarico con l’accusa di incitamento all’odio tra le classi. Rinviato a giudizio affrontò con grande coraggio il processo attaccando gli abusi dei grandi proprietari terrieri e venne assolto.

Nel 1899 fu tra i promotori della rivista catanzarese Il Pensiero contemporaneo, diretta da A. Renda, improntata ad un programma di gradualismo socialista, nella quale confluivano, partendo da prevalenti suggestioni positivistiche, impostazioni marxistiche.

Oltre ad alcuni contributi assai selezionati, sempre stralciati da ricerche organiche (il De Bella. vi collaborò con alcune note sulla religione e sulla divinità e sull’evoluzione della proprietà) la rivista è nota, tra l’altro, per aver condotto un’inchiesta sulla questione meridionale, alla quale risposero numerosi studiosi, alcuni seguaci della scuola antropologica, altri seguendo un’interpretazione storica e positivistica. Il De Bella. si colloca tra questi ultimi con uno scritto originale, che fu inserito nel volume La questione meridionale, Milano-Palermo 1900. Egli nega che ci siano due Italie. “L’Italia è una- dice- tra l’alta e la bassa penisola non si danno limiti ben demarcati”. La differenza non deve essere attribuita alla razza, ma a tre concause (ladiversa distribuzione del freddo e del caldo; il governo borbonico; l’assenteismo) e ad una causa principale (configurazione e posizione dell’Italia). Il rimedio più efficace sarebbe un federalismo sullo stampo della Svizzera, mentre il rimedio efficacissimo “può sintetizzarsi in quel collettivismo o in -quel comunismo critico, il quale mentre darà agli uomini quella pace e quell’eguaglianza, che sono relativamente compatibili con la natura umana, preparerà nuovi problemi, la cui soluzione servirà sempre a scansare nuovi dolori e a preparare nuove felicità”.

Molto limitata fu la sua attività nei primi anni del Novecento, a parte qualche collaborazione ad alcuni giornali sociafisti, come La Verità di Messina. Nel 1909 si trasferì in America dove diresse Il Proletario di Filadelfia, il giornale socialista degli emigrati italiani, ma nel 1911 ritornò in Italia.

Morì tragicamente a Nicotera il 4 novembre 1912.

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