Il Timpone della Motta a Francavilla Marittima.

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Il sito di Timpone Motta ricade nei confini amministrativi del comune di Francavilla Marittima (CS). Le aree archeologiche principali sono due: il Timpone della Motta, posto a 280 m slm e l’area di Macchiabate lungo il torrente Raganello. Se sul Timpone erano ubicati una serie di edifici a carattere sacro, la parte bassa, a Macchiabate, era occupata da una necropoli. Nel mezzo, su una serie di pianori livellati artificialmente, è stato identificato un abitato dell’età del Ferro costituito da capanne alcune delle quali scavate e indagate nel corso degli ultimi anni. L’intensificarsi delle ricerche ha consentito di individuare altri importanti siti in connessione con quelli già conosciuti.

Il Santuario: Gli scavi hanno portato alla luce strutture riconducibili ad una interessante quanto problematica vasta area sacra che ha subito una lunga continuità d’uso con la sovrapposizione di strutture diverse. La struttura più antica riconosciuta è una grande capanna di legno databile alla I Età del Ferro (VIII sec. a.C.) a cui succede un tempio ligneo costruito intorno al 725/700 a.C. Tra il 660 e il 650 a.C. viene infine innalzato un tempio con fondazioni di pietre di fiume alloggiate in trincee tagliate nel conglomerato ed un alzato di mattoni crudi.La grande struttura di legno, databile alla I Età del Ferro, presentava la parte orientale absidata, era dotata di un focolare collocato nella zona occidentale ed un telaio per la tessitura al centro dell’ampio ambiente: l’intera costruzione occupava una superficie di m 26 x 8. Tra le crepe della roccia e nella terra polverosa di riempimento, sono stati rinvenuti numerosi oggetti di bronzo tra cui vari ornamenti personali come ad esempio fibulae del tipo “a scudo” e “a serpente,” numerosi esemplari di spiraline, fibbie per cinture, fermatrecce, pendenti rappresentanti figurine umane ma anche ochette in bronzo fuso che poggiano su piedistallo a traforo; tutti questi reperti sono inquadrabili cronologicamente nei primi tre quarti dell’VIII sec. a.C. Gli oggetti sono stati riconosciuti come prodotti importati dalla Grecia e realizzati presumibilmente in un’officina laconica o nella stessa Sparta.

L’altare-focolare aveva prodotto un immenso accumulo di cenere, rinvenuta quest’ultima ammucchiata e ben riconoscibile stratigraficamente per il colore grigiastro e la consistenza particolarmente soffice. Conteneva, tra le altre cose, ossa animali (appartenenti a maialini), ceramiche di produzione locale del tipo ad impasto e del tipo Matt-painted. Al centro della struttura è stata ipotizzata la presenza di un telaio, per via del rinvenimento di un certo numero di pesi da telaio, numerose fusaiole, fornelli e vasellame da cucina.

Il materiale, ceramico e bronzeo, associato alla costruzione è di tipo indigeno, anche se sono documentati reperti greci di tipo pre-coloniale, presumibilmente di connotazione religiosa. Complessivamente gli oggetti provenienti dall’edificio indicherebbero l’esistenza di uno spazio in cui le donne si occupavano della tessitura, del lavaggio e della tintura della lana o del lino. Intorno al 725/700 a.C., la costruzione di legno viene rasa al suolo, verosimilmente in modo rituale per la costruzione di un nuovo edificio. Tra gli oggetti più significativi da questa fase, è da annoverare una pisside decorata con una scena di culto nella quale è illustrata una processione con figure muliebri. La prima donna trasporta un’idria presumibilmente ricolma d’acqua, che sta per versare in una tazza tenuta in mano da un personaggio femminile seduto, da interpretare, forse, con una divinità assisa in trono. Questa immagine potrebbe essere riconducibile ad uno degli aspetti del culto che si praticava nel santuario a partire dal 700 a.C., aspetto questo che spiegherebbe la grande quantità di hydriskai rinvenuta negli scavi fino ad oggi. Studi recenti hanno dimostrato che la pisside con scena di processione appena descritta fa parte di uno sviluppo graduale di orientamento greco nel santuario. Per far posto alla nuova costruzione che si sovrappone al Tempio in legno, questo venne spianato per scavare le fosse nel conglomerato e ospitare le fondazioni dei muri costruiti in mattoni crudi.

Il pavimento della nuova struttura è stato ottenuto con un battuto di argilla giallastra che copriva e obliterava i resti delle strutture precedenti. La cultura materiale associata con le attività di culto di questo periodo è di chiara ispirazione coloniale greca e consiste principalmente in hydriskai, tipico contenitore per acqua e vasi di origine greca, in particolare di produzione corinzia. Nuovi oggetti per l’espletamento delle funzioni rituali come aryballoi, alabastra, e lekythoi di forma conica sono indicativi di una varietà di rituali nuovi all’interno del santuario. La Necropoli: La necropoli di Macchiabate fu indagata da Paola Zancani Montuoro a partire dal 1963. Le attente ricerche consentirono di portare alla luce importantissime testimonianze dell’archeologia enotria. In particolare il c.d. Cerchio Reale, così detto perché si immaginava pertinente a importanti personaggi della comunità. La struttura, comprendeva ben 14 sepolture databili all’VIII sec. a.C. e la peculiarità di questa area è determinata dal fatto che in una sepoltura sono stati rinvenuti oggetti del corredo tra cui spiccavano un’ascia, un pugnale di ferro e uno scalpello di bronzo, considerati tipici oggetti dell’attività del falegname.

A questo punto, è stato istituito il collegamento con Epeo, il mitico costruttore del cavallo di Troia, colui che aveva fatto in modo che la città fosse espugnata e che, per questo motivo, aveva consacrato la sua attrezzatura alla dea Atena e fondato, secondo la tradizione, la città di Lagaria. Per la Zancani poteva trattarsi di o di un heroon oppure di un cenotafio. Nel 1963 vide la luce un’altra importante sepoltura della vasta necropoli, definita Tomba Strada, in quanto veniva a ricadere sul percorso obbligato verso il Timpone.

La sepoltura, parzialmente violata, custodiva, tra l’altro, una interessante coppa definita di importazione “fenicia” per via della supposta provenienza dall’oriente levantino. Il pregiato reperto in bronzo, rinvenuto in frammenti, venne successivamente assemblato e restaurato restituendo il complesso motivo decorativo inciso in tutta la sua bellezza. La sepoltura, dal punto di vista strutturale, presentava la forma ellittica riconducibile alla planimetria di una capanna con all’ingresso due grossi massi ed il pavimento in ciottoli fluviali.

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