Si è consumato questa mattina un grave attentato a Pompei, nelle vicinanze della basilica. Un uomo ha imboccato contromano via Bartolo Longo, affollata di pedoni, terminando la propria corsa contro le fioriere di cemento sistemate a protezione della basilica. Othman Jridi, questo il suo nome, algerino, 22 anni, espulso sia dalla Francia che dal Questore di Cagliari ma ancora nel nostro paese, è stato bloccato dai vigili urbani dopo una breve fuga. Il fermo è stato poi convalidato dal giudice monocratico di Torre Annunziata Fernanda Iannone, che, su richiesta del pm, ne ha anche disposto la custodia cautelare in carcere. Processato per direttissima con l’accusa di furto di un’auto e false dichiarazioni a pubblico ufficiale, Jridi, assistito dall’avv Enrica Visconti (che aveva richiesto il rito abbreviato) è stato condannato a due anni e mezzo di reclusione (il pm ne aveva richiesti 4). Gli atti sono stati inviati al pool antiterrorismo della Procura di Napoli per i necessari approfondimenti.
Il giudice non ha concesso all’algerino i domiciliari (come prevede la legge per pene inferiori ai tre anni): troppi infatti gli elementi a suo sfavore. Innanzitutto, argomenta il magistrato, «l’estrema pericolosità della condotta tenuta dall’arrestato, che per le modalità (invasione di zona pedonale, piazza normalmente frequentata da centinaia di persone nonché da migliaia di pellegrini in giornate festive), il luogo (piazza antistante al santuario della Madonna di Pompei), la personalità (soggetto di nazionalità algerina, irregolare sul territorio italiano, espulso dal territorio francese), le condizioni psico fisiche della persona (che aveva assunto, per sua ammissione sostanze stupefacenti e psicotrope), che evocano episodi di attentati terroristici». Nel corso dell’udienza di convalida, inoltre, Jridi ha dichiarato «di non essere in condizione di sapere perché avesse compiuto quel gesto se non per sentirsi più vicino ad Allah, il che gli sarebbe stato reso più facile dall’assunzione di un farmaco».
Udienza durante la quale l’algerino «ha continuamente emesso suoni labiali e recitato una litania araba in nome di Allah»: «vi è il concreto ed attuale pericolo che l’imputato commetta altri delitti della specie di quello per cui si procede» e pertanto «è necessario applicare, non potendosi allo stato presumere che egli si asterrà dal delinquere in futuro, la misura della custodia cautelare in carcere, poiché, allo stato, unica misura idonea a fronteggiare le esigenze cautelari; tale misura appare anche proporzionata alla gravità dei fatti commessi ed alle sanzioni applicabili al caso di specie». Agli occhi del magistrato, insomma, Jridi appare come il tipico lone wolf (drogato, in preghiera, esaltato, in zona religiosa, durante periodo di feste religiose) desideroso di raggiungere un obiettivo inequivocabile. Ciò ha favorito in larga misura la scelta della detenzione in carcere, oltre al fatto che l’algerino ha mentito più volte sulla sua identità: ai carabinieri avrebbe infatti fornito quella di un connazionale, al quale, giunto sul posto, avrebbe poi sussurrato in arabo: «Dici che vivo qui, se no mi arrestano». Di elementi da approfondire, dunque, il pool antiterrorismo della Procura di Napoli ne ha in abbondanza.
fonte laziochannel
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