Lavorare per gli enti pubblici è sempre un rischio. I lavori vengono fatti, ma nessuno li paga. O, almeno, vengono pagati in netto ritardo. Se l’azienda non ha spalle economicamente larghe la crisi è dietro l’angolo. Succede così alla maggior parte delle imprese che hanno effettuato lavori di somma urgenza dopo gli eventi alluvionali del del 18 giugno e del 25 agosto scorsi. A fronte di complessivi 500mila euro di lavori eseguiti, non hanno ancora percepito un centesimo. Il malumore dei titolari è alle stelle. Dopo aver incontrato, senza alcun risultato, prima i componenti della commissione straordinaria e poi il commissario prefettizio subentrato dopo le elezioni del 21 ottobre, stanno valutando eventuali nuove azioni da intraprendere a tutela dei propri interessi. Su parecchi di loro s’allunga l’ombra del tracollo finanziario. Oltre alle spese vive per gli operai e per i mezzi meccanici utilizzati nei giorni critici, hanno anche anticipato denaro e contratto debiti per l’acquisto dei materiali. Le loro difficoltà appartengono anche ai negozi che hanno fornito merce. I fatti parlano chiaro. Subito dopo il nubifragio di giugno, la commissione straordinaria dichiarava lo stato di calamità naturale con delibera n.12 del 20.6.2018 che veniva inviata alla Regione. Dalla Regione la richiesta veniva inoltrata al governo nazionale che, a distanza di qualche giorno, l’accoglieva in toto. Le Regione provvedeva ad emanare apposito decreto per disciplinare tutte le procedure per la quantificazione dei danni e per il pagamento delle ditte. La rendicontazione veniva fatta con la necessaria solerzia tanto è vero che, relativamente, al nubifragio del 18 giugno 2018 tutti gli atti previsti venivano completati subito. Ad oggi, il Comune non ha ricevuto nulla. Le imprese e i loro dipendenti hanno, in sostanza, dato il massimo per ripristinare la vivibilità del territorio, ma nessuno, però, s’è premurato di versare loro le somme spettanti.
Naturalmente, per il buon andamento delle pratiche, non si sono tirati indietro neppure tutti i dipendenti comunali in servizio nell’area tecnica rimasti in trincea per tutto il tempo necessario. I guai maggiori, tuttavia, sono arrivati con l’alluvione del 25 agosto. Anche in questo caso, la commissione straordinaria inoltrava alla Regione la richiesta di dichiarazione dello stato di calamità naturale. Richiesta che veniva trasmessa al governo senza, però, avere risposta. Intanto, nella sede Com di Badia di Nicotera, nel corso di una riunione tenutasi il 3 ottobre 2018, il responsabile regionale della Protezione civile, Carlo Tansi, dava per certo che i finanziamenti ci sarebbero stati e che tutti i lavori di somma urgenza dovessero essere eseguiti senza perdita di tempo. Garantiva che, con ordinanza successiva, sarebbe stata sistemata ogni cosa.
Le ditte eseguivano tutti i lavori, ma lo stato di calamità non veniva dichiarato, mentre Carlo Tansi lasciava il suo incarico. In sostanza, le imprese hanno effettuato lavori per circa trecentomila euro, ma nessuno sa chi li dovrà pagare. Sulle casse comunali tira brutta aria. Per i danni alluvionali, se né governo né Regione faranno fronte agli impegni presi, ogni responsabilità ricadrà sul Comune che ha assegnato gli incarichi e che, indipendentemente dallo stato di dissesto, non appare certo nelle condizioni di fronteggiare spese così ingenti. Al limite, potrebbe contrarre un nuovo mutuo innescando una procedura per il cui espletamento passerebbero parecchi mesi. Nel frattempo, però, chi salverà le imprese creditrici dal tracollo? L’ing. Carmelo Ciampa, responsabile dell’area tecnica, garantisce che l’ufficio ha espletato tutti gli atti necessari per affrontare l’emergenza e per rendere possibile il pagamento delle ditte. Se responsabilità ci sono, a suo dire, vanno cercate altrove.
In ogni caso <la situazione è molto delicata – afferma il giovane titolare di una delle ditte impegnate nei lavori post-alluvionali – perché ci siamo esposti più del necessario per tamponare ogni emergenza nella certezza che non avremmo incontrato difficoltà con i pagamenti. Così non è e, purtroppo, essendo solo piccole aziende, parecchi di noi stanno rischiando il tracollo. In difficoltà sono anche i nostri fornitori che hanno assoluto bisogno di incassare per poter mandare avanti le loro attività>. C’è pure la questione dei dipendenti. <Ogni ditta – spiega l’imprenditore – ha cinque-dieci operai, quasi tutti padri di famiglia, a cui è doveroso corrispondere un salario per non creare loro disagi. Sino ad oggi, in qualche modo, siamo riusciti a stare vicini ai loro bisogni, ma per l’immediato futuro potremmo avere serie difficoltà. Per questo, dopo vari incontri con tecnici e commissari, facciamo appello ai responsabili regionali affinché ci venga pagata immediatamente la prima fattura. Se non ci consentono una boccata d’ossigeno sarà dura andare avanti e qualcuno se ne dovrà assumere la responsabilità>.
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