L’arrivo del presidente cinese in Italia solleva preoccupazione e critiche. Ma l’accerchiamento cinese dell’Europa è già incominciato da qualche anno. Nell’indifferenza di un’Unione Europea preoccupata solo della minaccia russa.
Luigi Di Maio un po’ s’illude, un po’ finge di non vedere il pericolo. Matteo Salvini ha già fatto marcia indietro. Certo per capire che dietro ai suadenti progetti della “Nuova Via della Seta” si nasconda una sorta di carta moschicida capace d’imprigionare e trasformare in suddito chi collabora con Pechino non occorreva attendere l’arrivo in Italia di Xi Jinping. Bastava l’esempio dei paesi africani strangolati dal debito e costretti a garantire in cambio lo sfruttamento delle proprie risorse naturali. Per intuire che alla Cina interessasse non tanto commerciare con l’Europa, quanto dominarla controllandone rotte, porti e merci bastava esaminare le mosse di Pechino nel bacino del Mediterraneo e lungo le coste del mare del Nord. La guerra di Pechino per il controllo delle rotte europee è iniziata alle porte del Pireo, è proseguita lungo i moli del piccolo porto belga di Zeebrugge, ed è pronta a chiudersi con la conquista dello scalo di Trieste, fondamentale per dominare i commerci sull’asse settentrionale ed orientale del vecchio Continente.
Su quei due assi la Cina ha già messo gli occhi. A nord per ora c’è Zeebrugge. A est c’è il 16+1, la formula commerciale attraverso cui Pechino lega a se 11 membri dell’Unione Europea (Bulgaria, Estonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Macedonia, Romania, Slovacchia, Slovenia) e cinque paesi ancora extra Ue come Albania, Bosnia, Croazia, Serbia e Montenegro.
La lunga marcia d’avvicinamento all’Europa inizia nel 2010 mentre la Germania di Angela Merkel incita a piegare sotto i colpi della “troika” una Grecia colpevole di mettere a rischio le banche tedesche e francesi. L’America di Obama nel frattempo spinge Bruxelles allo scontro con la Russia di Vladimir Putin. In questo scenario la Cina ne approfitta per abbozzare il tracciato europeo della Via della Seta. La prima casella del risiko si chiama Pireo. E’ il porto simbolo della Grecia, ma Berlino e Bruxelles, interessate solo a far pagare i debiti ad Atene, guardano altrove. Così la Cosco (China Ocean Shipping Co.) una società marittima controllata dallo Stato cinese, se ne compra per un tozzo di pane le prime quote. Da quel momento la società, già allora al quarto posto nel mondo per il movimento di container diventa la capofila della penetrazione cinese nel Mediterraneo.
Sei anni dopo il 68enne capitano Fu Cheng Qiu – un ex Guardia Rossa della Rivoluzione Culturale oggi responsabile delle operazioni della Cosco al Pireo – conclude l’acquisizione del 67 per cento delle azioni del porto. Da quel momento la Cosco, che intanto ha investito 600 milioni di euro e ne ha pronti altri 300 – assume il totale controllo dei terminal da cui partono container, navi da crociera e traghetti. Sotto la sua regia il Pireo si sviluppa ad un ritmo senza pari arrivando a muovere 20 milioni di passeggeri all’anno. Ma Pechino non si ferma. In dieci anni la Cosco e altre controllate cinesi acquisiscono partecipazioni in altri sette porti europei fra Italia (Vado Ligure), Belgio (Zeebrugge, Anversa), Spagna (Valencia e Bilbao), Francia (Marsiglia) e Olanda (Rotterdam) conquistando il controllo del dieci per cento del movimento container del Vecchio Continente.
La strategia cinese si dipana soprattutto attraverso investimenti in piccoli scali come Zeebrugge e Vado Ligure. A Vado Ligure Cosco Shipping Ports e la Qingdao Port International Development acquisiscono il 49% del futuro terminal container. Il 50,1% resta della Maersk, la compagnia danese regina del settore a cui i cinesi si preparano però a far sentire il fiato sul collo. Non a caso la scalata cinese a Zeebrugge, il secondo porto belga, coincide con il ritiro dal terminal container della Maersk.
Ma per capire la pervasività delle strategie cinesi bisogna guardare dietro al Pireo. Lì la Cina finanzia il network ferroviario – concordato con Ungheria e Serbia nell’ambito del 16+1 e finanziato dall’ “Export Import Bank Of China” – che collegherà il Pireo a Budapest e Belgrado. In questo schema geo-politico-commerciale il tassello che manca è Trieste. Oggi il suo porto è solo all’11mo posto delle classifiche europee per movimento merci. E benché il movimento container sia aumentato del 150 per cento il traffico resta un quinto di quello del Pireo. A far gola ai cinesi è, però, la rete ferroviaria collegata ai suoi terminali. E più ancora il suo status di porto franco che consente il fermo merci senza tasse. Grazie a queste due specificità Trieste può diventare lo snodo tra Zeebrugge, Est Europa e Pireo. Non a caso come ammesso dal presidente dell’Autorità Portuale triestina Zeno D’Agostino Pechino è pronta ad investirvi oltre 1 miliardo di euro.
Soldi che nessun investitore nazionale può garantire. Ma la domanda è “in cambio di cosa?”. Capirlo non è difficile, basta guardare quel che sta già succedendo al Pireo. Lì oltre ai container incominciano a far scalo le prime navi militari che dalla base di Gibuti attraversano Suez ed entrano nel Mediterraneo. E lo stesso sta succedendo ai porti di Pakistan e Sri Lanka finiti in mani cinesi. Sulla Via della Seta insomma si muovono non solo le merci, ma anche una marina simbolo della nuova potenza militare cinese. E così mentre Bruxelles e Washington continuano a preoccuparsi della “minaccia russa” Pechino tesse la sua tela e si prepara a circondare l’Europa.