Sono passati 73 anni dal giorno in cui nacque la Repubblica Italiana: 2 Giugno 1946, uomini e donne in fila al seggio a votare, la voglia di ricostruire l’Italia dalle macerie fisiche, mentali, culturali del Fascismo. Furono quelle le prime elezioni a suffragio universale: per la prima volta non importava la discendenza, il sesso, il grado d’istruzione: si era tutti uguali, cittadini dello Stato Italiano. In quel 2 giugno del 1946 cambiarono molte cose: dopo 85 anni i Savoia uscirono di scena e la Monarchia cedette il passo alla Repubblica; la nuova classe dirigente antifascista intraprese la grande avventura della Costituente. Un’avventura che continua, una grande esperienza di libertà e democrazia che dura da 73 anni. Il doppio voto del referendum su monarchia o Repubblica e delle elezioni dei deputati della Costituente, costituisce una stupenda integrazione tra una sovranità popolare diretta (il referendum) e una indiretta (le elezioni). Anche per questo e per molto altro la Costituzione, con i suoi principi irrinunciabili e la sua architettura istituzionale, è un capolavoro di democrazia.Fu sempre il 2 Giugno che venne eletta l’Assemblea Costituente: Terracini, Calamandrei, De Gasperi, Saragat, Togliatti, Nenni, Scalfaro, Moro, Nilde Iotti: uomini e donne di una levatura morale mai più ritrovata nella sofferta storia dell’Italia Repubblicana. Una Repubblica fragile, la nostra anche nella sua cogente attualità: fra scandali, partigianeria inutile, dilettantismo imperante, disconoscenza della grammatica Istituzionale, assenza di dialogo quasi totale nella normale, scontata dinamica delle parti contrapposte, tecniche di comunicazione spinte al parossismo per legittimare vecchi e nuovi demagoghi. Una Repubblica talmente fragile da essere archiviata due volte e due volte ripresa da capo, rischiando che la Repubblica successiva fosse peggiore di quella precedente; e comunque, citando Pertini, la peggiore delle Democrazie è sempre da preferire alla migliore delle dittature. Una Repubblica condizionata da una Politica che sta parlando alla pancia degli elettori, che sta dicendo soltanto quello che la gente vuole sentirsi dire; quasi mai ragiona e fa ragionare le persone su qualcosa di nuovo, qualcosa di cui già non si parli nei bar o sulle prime pagine dei giornali; è raro che si possa sentir qualche politico di cui poter dire “mi ha fatto pensare”. Eppure essenzialmente questo dovrebbe essere il compito della Politica: far fare passi avanti al modo di pensare/ragionare delle persone, non quello di coltivare gli impulsi e gli automatismi. La democrazia presuppone che i cittadini siano esseri pensanti, dato che la loro opinione conta, e la politica dovrebbe parlare alla testa, non alla pancia. Cambiare lo status quo non sarà una passeggiata, ma già una volta – nel 1946 – ce l’abbiamo fatta: che sia il 2 giugno tutto l’anno!
Alberto Capria