Lotta al Covid con la Sepsi. Prof. Sganga: Prevenire le infezioni con le mani pulite in un Master alla Cattolica. Lotta al Covid con la Sepsi. Prof. Sganga: Prevenire le infezioni con le mani pulite in un Master alla Cattolica.

Lotta al Covid con la Sepsi. Prof. Sganga: Prevenire le infezioni con le mani pulite in un Master alla Cattolica.

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Il 13 settembre scorso come ogni anno, si è celebrata la “Giornata Mondiale della Sepsi”, ma quest’anno l’importante evento è passato in sordina, messo in ombra dall’emergenza Covid-19. La giornalista Maria Rita Montebelli, ha intervistato il prof. Gabriele Sganga, Direttore della UOC-Chirurgia d’Urgenza e del Trauma della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli-IRCCS Roma, nonchè Direttore del Master in Sepsi Chirurgia presso l’Università del Sacro Cuore. Sganga, di origini Calabresi, nato a Nicotera, e poi trasferito in gioventù a Tropea, è impegnato nel sociale attraverso il Club Lions e l’Accademia Internazionale della Dieta Mediterranea dove ricopre la carica di Presidente del Comitato Scientifico. La giornalista  ha anche intervistato il dott. Pier Luigi Spada dell’UOC di Chirurgia d’Urgenza del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS.

“Ma la sepsi – ricorda il professor Gabriele Sganga,  – al di là delle giornate dedicate, continua a rappresentare un grande problema di salute pubblica. Su quasi 10 milioni di ricoveri l’anno in Italia, 450-700 mila pazienti presentano infezioni nosocomiali, che provocano 5-7 mila decessi. Nel mondo si stimano dai 27 ai 30 milioni di casi di sepsi ogni anno e 7-9 milioni di decessi, in pratica uno ogni 3,5 secondi. Una strage che anche nei sopravvissuti può determinare conseguenze durature (depressione, insonnia, disturbi della memoria, difficoltà di concentrazione, debolezza muscolare, stati d’ansia, disturbi respiratori). Qual è la causa di tutto questo? “Non riusciamo a controllare l’emergenza-sepsi – sostiene il professor Sganga – perché il problema è sottovalutato e globalmente poco noto. È necessario dunque iniziare facendo opera di sensibilizzazione e informazione”.

Anche perché, “al pari di altre patologie come l’infarto o l’ictus – spiega il dottor Pier Luigi Spada, dell’UOC di Chirurgia d’Urgenza del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS – l’esito della sepsi è strettamente legato al tempo. Anche per questa patologia vale la regola della ‘golden hour’, la prima preziosissima ora durante la quale porre diagnosi e imbastire un percorso mirato di cura”. Le fonti della sepsi sono le più varie: polmoniti, infezioni del tratto urinario o intra-addominali, infezioni di cateteri venosi, di cute e tessuti molli, meningiti, che vedono ormai troppo spesso coinvolti germi multi-resistenti agli antibiotici.

“La sepsi – prosegue il professor Sganga – è un’infezione che provoca la compromissione di più organi e apparati, con elevato rischio per la vita. Per la diagnosi, è fondamentale avere il sospetto e riconoscere tempestivamente nel paziente che si ha davanti, segni e sintomi di infiammazione e/o infezione come febbre, aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, aumento dei globuli bianchi. Più di recente (2016) è stata introdotta una nuova definizione di sepsi, utilizzando una versione semplificata dell’indice ‘SOFA’ (Sequential Organ Failure Assessment), denominata ‘quick’ (qSOFA), che si basa su parametri semplici e rapidamente acquisibili quali la tachipnea (aumento di frequenza degli atti del respiro), l’abbassamento della pressione arteriosa e l’alterazione dello stato mentale”.

Questa è la triade sintomatologica da tener sempre in mente, che deve far scattare l’allarme anche a casa, nei familiari di persone, non soltanto anziani, alle prese con una malattia febbrile.

“La comparsa di questi segni clinici – spiega il dottor Spada – deve indurre a pensare a un possibile aggravamento del quadro infettivo e far chiamare subito i soccorsi”. Il sospetto clinico verrà poi confermato in ospedale dalla positività degli indici di flogosi (globuli bianchi, proteina C reattiva, fibrinogeno, procalcitonina), degli esami colturali (emocolture, urinocoltura e colture di altri liquidi biologici sospetti) e da esami radiologici.

“Altrettanto importante è la prevenzione – prosegue il professor Sganga – che passa per il corretto uso degli antibiotici e soprattutto dall’igiene, a cominciare da quella delle mani, che qualche anno fa abbiamo riassunto in 6 step per ricordare a tutti di non cadere nell’errore di ‘dimenticare’ di lavare accuratamente la punta delle dita, gli spazi tra le dita e il pollice”. Il lavaggio delle mani è la pietra miliare per prevenire le infezioni in ospedale, a casa, a scuola e sul posto di lavoro. Il COVID-19 ce lo ha ricordato in tutta la sua crudezza, ma il messaggio è valido da sempre. “Acqua e sapone (40-60 secondi) o gel alcolico (20-30 secondi) – sottolinea il professor Sganga – sono i nostri grandi alleati contro le infezioni e la sepsi. E la loro importanza è pari a quella della cintura di sicurezza o del casco per prevenire i danni da incidenti stradali”.

“Sul fronte della formazione, il Master ‘Sepsi in Chirurgia’ dell’Università Cattolica, giunto ormai alla sua 14° edizione, – continua Sganga, direttore del Master – vista l’importanza e l’attualità del problema, anche quest’anno ha proseguito la sua attività didattica da remoto, grazie ai supporti dell’Università, continuando ad avvalersi ugualmente della insostituibile multidisciplinarietà garantita da infettivologi, microbiologi, chirurghi, intensivisti, internisti, radiologi, specialisti in direzione sanitaria, rischio clinico ed igiene”.

“Ad oggi resta ancora l’unico master di questo tipo in Italia e in Europa” – conclude Spada, coordinatore del Master.

Fonte : sito web del  Policlinico Gemelli, di  Maria Rita Montebelli 

 

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