Presidenti Biden e Trump: un’atomica battaglia legale. Il fine giustifica i mezzi. Le tappe del 6 e 20 gennaio 2021.

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Le elezioni americane sono ancora in una partita tutta da giocare. Biden ritiene di aver vinto legittimamente le elezioni e gode dell’appoggio dell’establishment americano e mondiale, ivi compresa l’élite economico finanziaria ma, ancor più, l’élite iniziatica forte e potente che, da secoli, detta le linee guida per un cammino iniziatico di elevazione dell’uomo, nell’uguaglianza tra popoli, da inserire in un progetto di globalizzazione mondiale che si scontra con la visione trumpiana patriottica e nazionalistica.

La partita finale si giocherà il 6 gennaio, dove Biden si attende la nomina ufficiale del Congresso appena eletto, avendo superato tutti gli scogli dei brogli elettorali, denunciati dai repubblicani, riuscendo a sbarrare ogni strada legale intrapresa con governatori e procuratori che hanno rifiutato ogni ricorso in tal senso.

Trump, rifiutando ogni offerta di uscita offertagli attraverso i democratici di Biden con anche “l’onore delle armi”, senza conseguenze penali per se e per alcuni suoi familiari, purché smetta ogni tentativo disperato di ricorso per brogli veri o presunti, aspira testardamente per il 6 gennaio, a vedersi applicare l’art.2 comma 2 della Costituzione degli Stati Uniti il quale, prevede, che <ogni Stato nominerà, nel modo che verrà stabilito dal suo organo legislativo, un numero di Elettori, pari al numero complessivo dei senatori e dei rappresentanti che lo Stato ha diritto di mandare al Congresso>. Tale articolo si tenterà di applicarlo in merito ai ricorsi per brogli elettorali avanzati dai repubblicani, dal team dei legali di Trump e da alcuni legali indipendenti, contro le elezioni in Georgia, Michigan, Pennsylvania e Wisconsin e molto probabilmente, anche l’Arizona e il Nevada.

Amy Coney Barrett, nominata alla Corte Suprema

Trump, conseguentemente e congiuntamente, spera di vedersi applicare anche le norme costituzionali dei suddetti stati, ritenendo che possa prevalere, giuridicamente a suo favore, la controversia sui brogli elettorali, rispetto alle leggi di recente emanate in materia di modalità di voto nei suddetti Stati, citati in giudizio dal procuratore generale del Texas, Ken Paxton, presentando alla Corte Suprema Federale, un’azione legale contro Georgia, Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, accusandoli di “irregolarità elettorali” durante le ultime consultazioni presidenziali, dovute alle recenti modifiche delle norme in materia di voto, sulla spinta della provvidenziale emergenza Covid19.

Da parte democratica, il partito si è fatto assistere particolarmente dal 2017 ad oggi dallo studio legale Perkins Coie amministrativista e civilista che, con lo studio legale Levin costituzionalista e amministrativista che assiste prevalentemente i repubblicani e la Casa Bianca di Trump, sono i due veri centri del potere statunitense più potenti al mondo. Insomma, uno scontro tra Titani che, a vicenda, si ripetono giornalmente: “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”.

Come è noto la Corte Suprema degli Stati Uniti-SCOTUS – da non confondere con le Corti Supreme di ogni singolo Stato – l’8 dicembre ha respinto il ricorso del Procuratore Generale del Texas il quale, aveva erroneamente presentato la sua denuncia sotto forma di <Richiesta di permesso per presentare un reclamo>. Per cui, SCOTUS, senza cadere nel tranello della politicizzazione, ha respinto il reclamo non entrando nel merito, affermando in sostanza, di non avere il potere di dire ai legislatori statali di ignorare le proprie Costituzioni a favore della legge federale, precisando però, che nulla osta a rivedere il tutto se ripresentato non come “permesso”, bensì, come <Richiesta di un reclamo>.

Il Texas non ha potuto aderire al suggerimento della SCOTUS perché, ormai, i termini spiravano in quell’8 dicembre 2020. Ma la cosa più stravagante è che il Texas era consapevole di non avere titolo e giurisdizione per sollevare queste accuse, in quanto uno Stato non può dettare le azioni di un altro Stato. Pertanto, non ha voce in capitolo su come gli altri stati scelgano e/o cambino le modalità di voto.

Quindi, il Procuratore Generale del Texas, che è bene ricordare è uno Stato governato dai repubblicani, dove Trump ha pure vinto le elezioni, si ergeva da accusatore verso altri Stati dove Trump ha perso le votazioni a causa del massiccio voto postale, nonostante siano attualmente governati dai repubblicani.

Con questa decisione, il Procuratore Generale del Texas, per le legislazioni interne degli stati, ha creato il precedente giuridico per far diventare Trump da accusatore ad imputato, aiutando incredibilmente i fatti di causa perché, da imputato, l’onere di smontare la prova del danno e della colpa sui brogli, passerà a carico del nuovo accusatore, in questo caso il Procuratore Generale di ogni singolo Stato di quegli stati che figuravano in precedenza, imputati dal Texas. Fatto che, entro il 6 gennaio, potrà trovare concretezza nel reclamo, seppur in precedenza respinto, ma che non essendo stato bocciato dalla Suprema Corte Federale, permette ancora a Trump di poter mestare nel torbido delle interpretazioni dell’art 2 comma 2 della Costituzione Federale degli Stati Uniti d’America.

Difatti, nel frattempo, Trump, ben consigliato dai suoi costituzionalisti di alto rango dello studio legale Levin, ha fatto votare il 14 dicembre, a suo favore, i suoi rappresentanti repubblicani in qualità di Elettori Sostitutivi aprendo la strada alla cosiddetta “elezione contingente” che risultano eletti in quegli stati per loro contesi dai brogli elettorali, ma che per Trump sono vincitori in pectore in caso di dimostrazione dei brogli entro il 6 gennaio, il tutto a scapito degli eletti democratici di Biden. In tal caso potrebbe essere nuovamente coinvolta la SCOTUS.

La prossima mossa, pianificata dai costituzionalisti dello Studio Levin, si giocherà per l’appunto il 6 gennaio, allor quando si riunirà la Camera dei Rappresentanti, unico organo deliberante superiore e finale in merito alla designazione del prossimo Presidente degli Stati Uniti. In quel contesto, prima di passare alla conta dei voti, verrà posto il caso dei brogli elettorali promosso dai Rappresentanti repubblicani. Vi è un precedente accaduto nel 1877 per l’elezione del 19° presidente, anch’essa inquinata da brogli elettorali, dove il Congresso fu costretto a creare una commissione specifica, formata da suoi membri e da giudici della SCOTUS. Questo precedente potrebbe essere innescato dai repubblicani di Trump con una crisi costituzionale che sfocerà in due possibili soluzioni:

  • Invalidare le elezioni in quei 4/6 stati prevalentemente contestati, annullando il voto per poi rivotare e/o consegnare la decisione ai Governatori di quegli Stati che, però, essendo in Arizona e Georgia parlamenti a maggioranza repubblicana, nomineranno i delegati che saranno favorevoli a Trump, scalando a 279 i voti per Biden e con il rischio concreto del riconteggio in altri stati, si potrà capovolgere il risultato che, comunque, rimane macchiato di quei brogli, moralmente denunciati solo dai Repubblicani.
  • Ordinare una commissione di verifica dei brogli elettorali. Anche questa soluzione darebbe la vittoria a Trump perché ha già raccolto oltre mille dichiarazioni giurate di testimoni, sui brogli, e vi è anche una perizia giurata di un tecnico nominato da un giudice statale che certifica l’esistenza massiccia dei brogli elettorali.

Altresì da non sottovalutare il fatto che Trump, a giorni, riceverà un dettagliato rapporto, seppur in ritardo rispetto ai 45 giorni dalle elezioni, in base ad un Ordine Esecutivo del 12 settembre 2018 che obbliga il Capo dei 17 Servizi Segreti americani a stilare un dettagliato rapporto in caso di brogli elettorali, specie se inquinati da interferenze da parte di Stati stranieri. Già circolano relazioni di altri servizi segreti esteri, alleati degli americani, che anticipano documenti su gravi interferenze nelle recenti elezioni americane da parte di Cina, Russia, Iran e Venezuela che Trump utilizzerà a suo favore, in ogni caso.

UNITED STATES -Gen. Michael Flynn, director of the Defense Intelligence Agency,

In sostanza, Trump, ritiene di avere la vittoria in tasca applicando la sola Carta Costituzionale. Questo giustifica il perché in questi giorni egli ha escluso l’uso del ricorso alla seppur limitata Legge Marziale, da applicare agli stati accusati di brogli elettorali, invocata dal fedelissimo Generale Michael Flynn idolo dei fan del movimento Q+Anon e un gladiatore per quell’elettorato repubblicano che Trump è riuscito ad entusiasmare divenendo, di fatto, l’unica sua vera forza. Flynn ha suggerito lo svolgimento di nuove votazioni, garantite dal controllo diretto dei militari, percepiti da sempre nell’immaginario collettivo, come i garanti della costituzione e i difensori dei valori della patria, rispetto alle intelligence civili più inclini alla distrazione fatale verso la politica e le lobby elitarie.

Tranne qualche ulteriore colpo di scena da parte democratica o da parte repubblicana, quanto delineato dagli studi legali, è la strategia giuridico costituzionale in atto, aldilà delle insistenti voci di arresti di massa che, se vere, potrebbero essere innescati entro il 6 gennaio a fronte di documentate prove sui brogli elettorali, ancora non ufficializzati, ma di sicuro agli atti della Casa Bianca.

Sbaglia chi pensa, e a ha pensato, che tutta questa vicenda sia di natura politica e/o gestibile con la CIA e l’FBI, essendo invece una operazione di sofisticata intelligence militare, pianificata da almeno due anni, con lo scopo di prevenire e sgamare i brogli elettorali, messa in atto in ogni dettaglio strategico e giuridico, a far data dal citato Ordine esecutivo del 12 settembre 2018, le cui malefatte e manomissioni dei server elettorali per il voto postale e non solo, erano a conoscenza dei militari e dei servizi segreti vicini al Presidente Trump sin dalle elezioni del 2016, con il coinvolgimento della CIA, da sempre un feudo storico dei Democratici, ed oggi sotto osservazione e sul banco degli imputati, insieme a politici di alto rango e di un Deep State occulto e diffuso sui quali esponenti apicali, pende la spada di Damocle dell’accusa di alto tradimento.

Haspel, Wray, Barr

In queste settimane sono stati licenziati il capo del Pentagono, Mark Esper, sostituito con il n° 1 dell’antiterrorismo Cristopher Miller. Licenziato anche il ministro della Giustizia William Barr mentre, il capo della CIA, Gina Haspel e il capo dell’Fbi Cristopher Wray, è ferma intenzione di rimuoverli dall’incarico da parte di Trump, per essere sostituiti da suoi fedelissimi, piazzando anche a Capo dei 17 servizi segreti statunitensi, un suo fidatissimo uomo. Questo fa intendere che nulla accade per caso e, “Il piano”, può solo prevede di essere svolto nel breve periodo, entro il 6 gennaio 2021, estensibile al massimo al 20 gennaio, giorno del giuramento del nuovo presidente USA. Questi non sono i segnali di un presidente che sta cercando di uscire di scena con onore e in sordina, bensì sono i segnali di una dichiarazione di guerra da non sottovalutare da qualsiasi controparte, sia politica che iniziatica ed elitaria. Giorni fa, è stata data disposizione ai servizi di intelligence,  di sospendere le informazioni al presidente entrante Biden, in merito alla sua preparazione su informazioni riservate interne ed internazionali. Ma quello che preoccupa gli osservatori e gli analisti, non è il fatto in se stesso, ma la sterile reazione di Biden e del partito democratico a questa grave disposizione, dando la sensazione di accettare supinamente nel timore di scoperchiare ulteriori magagne ancora ben nascoste nel vaso di pandora.

Il computer della società di copertura spagnola della CIA, ha affermato il generale Flynn, è stato sequestrato in Germania il 12 novembre tramite un blitz militare della base di commandos d’élite dell’Aeronautica Militare degli Stati Uniti (US Air Force) di Rammstein. La cancelliera Merkel aveva rifiutato di effettuare questo sequestro informatico legale, richiesto dall’ambasciata degli Stati Uniti in applicazione degli accordi legali esistenti tra i due paesi. Il gigantesco computer si chiamava “Kraken” ed è stato utilizzato per distorcere tutti i voti elettronici statunitensi utilizzando un software della CIA soprannominato “Dominion” che pare, abbia moltiplicato l’elezione esclusivamente a favore di Biden.

Inoltre, questo computer sembra fosse anche quello usato per gestire l’enorme massa di dati dei conteggi finali globali ufficiali generati per l’OMS, dei tamponi e dei malati e morti del Covid-19, a riferimento dell’unico benchmark globale ufficiale per i dati Covid per ogni paese del mondo.

IL software Dominion è stato usato per la prima volta per l’elezione di Chavez in Venezuela nel 2006, ma anche in Argentina e altri paesi dell’America Latina (e, forse, anche in Australia, Nuova Zelanda, Canada e nelle ultime elezioni europee). I file, contenenti i dati dei voti elettorali delle ultime presidenziali americane, sono stati spediti nei server allocati in Spagna e Germania con il coinvolgimento di società facenti capo ai militari cinesi che hanno sicuramente avuto un ruolo nei brogli elettorali. Le sanzioni, per chiunque sia coinvolto, saranno pesantissime. Sempre più nitidi appaiono gli intrecci che uniscono le ditte che controllano il voto con il gruppo Soros, i Clinton e diversi governi. Il 12 novembre scorso Trump ha firmato un Ordine esecutivo per affrontare la minaccia degli investimenti in titoli che finanziano le società militari cinesi comuniste.

Si teme un tremendo colpo contro il Partito Democratico, il Nuovo Ordine Mondiale e i media mainstream e, di conseguenza, queste entità reagiranno con tutte le forze che hanno ancora a disposizione, così come fino ad oggi hanno reagito. Già ora il deep state, sentendosi minacciato come mai prima d’ora era accaduto, sta cercando di accelerare i piani per il Grande Reset deciso a Davos nell’agenda del World Economic Forum, in barba agli indirizzi politici dei singoli stati, attraverso la massima manipolazione dei dati della pandemia in senso allarmistico e mediante l’innalzamento del livello della repressione poliziesca, al momento operante soprattutto in Germania. Sempre in Europa, i premier di Ungheria e Polonia stanno mettendo i bastoni tra le ruote alle burocrazie globaliste della UE, che tentano di sfruttare il COVID per invischiare diversi paesi (soprattutto l’Italia) sempre di più nel debito. L’opposizione di Orban e Kaczynski al Recovery Fund e alle sue condizionalità ha scatenato le ire del solito Soros

A seguito di questo caos, il responsabile per la sicurezza informatica Chris Krebs, che aveva definito a settembre scorso le elezioni del 2020 come “le più sicure della storia” è stato licenziato in tronco il 17 novembre, per palese incapacità, non accorgendosi neanche che da marzo 2020, un nuovo e potente virus Trojan sta infettando, pericolosamente, l’intero sistema informatico degli Stati Uniti tramite un attacco al software della Solarwind, nato per proteggere i dati ma che, per ironia della sorte, è stato beffardamente violato da hacker riconducibili a servizi segreti stranieri ostili.

Lo scandalo è di proporzioni epocali, con risvolti apocalittici, che lasciano intravedere una nuova guerra civile con proteste nell’orizzonte americano i cui riflessi avranno ricadute sull’intero occidente e sul fronte cinese sempre in agguato.

Che Dio salvi l’America …e non solo.

Antonio Leonardo Montuoro, giornalista esperto di Teo Intelligence, socio del SOCINT-Società Italiana di Intelligence

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