“Monsignor Carmelo Pujia e la guerra d’Etiopia”

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Promosso dall’Associazione Culturale Anassilaos, congiuntamente con Spazio Open, nell’ambito degli incontri dedicati alla Chiesa reggina,  ancora una conversazione in remoto del Prof. Antonino Romeo sul tema “Monsignor Carmelo Pujia e la guerra d’Etiopia” disponibile su Anassilaos facebook e You Tube a partire da oggi, patrocinato dalla Deputazione di Storia Patria per la Calabria.  La guerra d’Etiopia del 1935-36 fu popolare tra gli italiani e consentì al fascismo di ottenere un consenso ampio e largamente diffuso in tutti gli strati dell’opinione pubblica. Alla popolarità di quella guerra contribuì non poco la posizione assunta dalla Chiesa cattolica, che appoggiò la politica del governo fascista a tutti i livelli e con tutti i mezzi a sua disposizione. Pio XI, a dire il vero, in un discorso del 27 agosto 1935, l’aveva definita «une guerre injuste, voilà quelque chose qui depasse toute imagination, la plus lugubre, la plus triste, voilà quelque chose d’indiciblement horrible» e queste parole riportate il giorno dopo da tutta la stampa internazionale, vennero completamente ignorate da quella italiana. Lo stesso «Osservatore Romano» evitò di farne menzione e solo il 1°settembre ne diede notizia, inserendole però prudentemente in un testo pieno di litoti e di doppie negazioni, che toglievano ogni vigore alla denuncia papale. Evidentemente lo stesso Pontefice aveva accettato di essere censurato e questo in ossequio al clima di collaborazione con lo Stato italiano invalso dopo la firma dei Patti Lateranensi. Non era facile per i cattolici italiani giustificare questa guerra, perché l’Etiopia era nazione cristiana fin dal IV secolo. Per superare l’impasse, in Italia si accusò la Chiesa etiope, che dipendeva da quella copta di Alessandria d’Egitto, di essere scismatica ed idolatrica, per cui era necessario riportarla alla vera fede, quella cattolico-romana, e questo poteva avvenire proprio grazie alle armi fasciste, che furono perciò benedette con entusiasmo. Fu lunga la serie di vescovi e cardinali che si esposero in prima persona e, a rappresentarli tutti, ricordiamo le parole pronunciate il 28 ottobre 1935 dal cardinale Schuster nel duomo di Milano: «In questo momento…sui campi d’Etiopia il vessillo d’Italia reca in trionfo la Croce di Cristo, spezza le catene degli schiavi, spiana la strada ai Missionari del Vangelo! […] Pace e protezione all’esercito valoroso, che in obbedienza intrepida al comando della Patria, a prezzo di sangue apre le porte di Etiopia alla Fede Cattolica e alla civiltà romana». Al coro dei chierici entusiasti si unì anche l’Arcivescovo di Reggio Calabria, monsignor Carmelo Pujia, il quale nel mese di ottobre 1935, pochi giorni dopo l’inizio del conflitto, fece pervenire ai fedeli della sua diocesi e di quella federata di Bova il testo di una preghiera da recitarsi dopo il Rosario nelle chiese e nelle famiglie. In questa supplica, intitolata «Pro Italia nostra», si diceva fra l’altro: «Signore Gesù, […] a te affidiamo in questa ora di tenebre la Patria nostra, la tua Italia, che combatte laggiù per una causa giusta e santa. Proteggi con la tua destra potente l’esercito nostro […] e guidalo Tu di vittoria in vittoria. […] Questo ti domandiamo […] nel nome di tante madri, di tante spose e di tanti innocenti bambini, che temono della vita dei loro cari combattenti…». Qualche giorno dopo, il 4 novembre, subito dopo che la Società delle Nazioni aveva deciso di imporre le sanzioni contro l’Italia, monsignor Pujia indirizzò ai suoi fedeli un documento in cui li chiamava ad opporsi all’iniquità di quanto stabilito a Ginevra. Colpisce dolorosamente – rileva lo studioso-il linguaggio di questi documenti, dove si parla esplicitamente di «nemici» e di «stranieri», termini che non dovrebbero avere cittadinanza in una visione cristiana della vita; colpisce l’accettazione della guerra come strumento fra i tanti per regolare i rapporti fra i popoli; colpisce l’assenza di ogni espressione di pietà e di umana solidarietà verso gli abitanti di un Paese che, appunto, ormai viene visto solo come nemico e perciò non meritevole di fraterna comprensione. Fu anche l’assenza di ogni remora religiosa a rendere possibile l’uso dei gas asfissianti sulle popolazioni etiopi e poi, nel 1937, il massacro di Debre Libanos, dove centinaia di monaci e di fedeli etiopi vennero freddamente eliminati, perché, appunto, appartenevano alla fede sbagliata e non meritavano solidarietà.

 

 

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