IL CULTO DEI CADUTI NELLA GRANDE GUERRA: IL MILITE IGNOTO

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Le commemorazioni per il centenario della Grande Guerra, iniziate nel 2015 e promosse anche dall’Associazione Culturale Anassilaos,  si concludono idealmente nel 2021 con il ricordo della sepoltura al Vittoriano della salma del Milite Ignoto italiano. Questo il tema della conversazione, in remoto, del Prof. Antonino Romeo promossa da Anassilaos, congiuntamente con Spazio Open. Era il 4 novembre 1921 e il governo di Ivanoe Bonomi con ministro della guerra Luigi Gasparotto, sperava di poter assorbire le tensioni legate al conflitto che ancora laceravano gli italiani. Quel rito solenne ed austero si poneva come conclusione di precise scelte culturali che erano emerse già negli anni della guerra in tutti i paesi coinvolti. Già sul piano semantico si preferì parlare di “caduti” e non di “morti, ma ancor più si fece per sublimare quelle morti e farne principio di nuova vita per la nazione intera. Ce lo dicono le tante cartoline di propaganda dove il soldato “caduto” è rappresentato tra le braccia di Cristo o, in alternativa, c’è un Cristo benedicente che sovrasta e sublima una delle tante croci sparse per la «funerea campagna». Si tratta di immagini che non solo annunciavano la beatitudine eterna a chi moriva in battaglia ma facevano di ogni vittima il medium e quasi il garante della rinascita immancabile della Patria tutta. A guerra finita, si trattava di non disperdere questo patrimonio di suggestioni e a tale scopo nei paesi vincitori i governi promossero l’allestimento di maestosi cimiteri, dove simboli cristiani e bellici si intrecciavano strettamente a trasformare le tombe in sacrari. Per accrescere l’impatto emotivo di tali onoranze ai Caduti, si decise poi di dare sepoltura ufficiale e solenne ad un Soldato Ignoto, rimasto insepolto sui vari fronti di guerra. Già l’11 novembre 1919, primo anniversario dell’armistizio, Francia e Gran Bretagna procedettero a tale solenne rito: in Francia fu prelevata una salma ignota da ognuna delle nove zone di guerra in cui il paese era stato diviso; le salme furono poi trasferite a Verdun, luogo simbolo della guerra francese, e qui un sergente, ferito in guerra, procedette ad indicare il prescelto. Il Milite Ignoto francese fu poi sepolto a Parigi, sotto l’Arc de Triomphe. Nello stesso giorno un rito analogo si celebrò in Gran Bretagna. La salma prescelta fu trasportata sul cacciatorpediniere francese «Verdun». Il legno della bara fu fornito da una quercia del parco reale di Hampton Court e il Milite Ignoto britannico fu sepolto a Westminster, nello stesso giorno in cui analoga sepoltura si compiva a Parigi. In Italia il clima di forte contrapposizione che aveva accompagnato nella primavera del 1915 l’entrata in guerra non si era attenuato. Sulla scia di quanto era avvenuto in altri paesi alleati, comunque anche in Italia si cominciò a pensare alla sepoltura simbolica di un Caduto Ignoto e ne parlò il colonnello Giulio Dohuet  in un articolo per «Il Dovere» del 24 agosto 1920 nel quale  proponeva la sepoltura di uno di loro al Pantheon.  Il suggerimento venne poi trasformato in proposta di legge dal deputato Cesare Maria De Vecchi, approvata il 4 agosto 1921 con voto unanime della Camera, che indicò il Vittoriano e non il Pantheon come luogo della sepoltura. Per quel rito fu prelevata una salma da ognuna delle undici zone di guerra e poi le undici salme di Soldati Ignoti furono trasferite nella basilica di Aquileia. Il compito di indicare il prescelto fu affidato a Maria Bergamas. Era la madre di Antonio Bergamas, cittadino austriaco che aveva disertato per combattere con il Regio Esercito italiano e che era morto in battaglia nel 1916. Maria Bergamas, madre in cui si riassumeva il dolore e lo strazio di tante altre madri avanzò tra le undici bare e, giunta alla decima, si accasciò con un urlo: era quella del prescelto, il Milite Ignoto italiano, la cui salma fu avviata a Roma con un treno speciale su cui spiccava il verso dantesco «l’ombra sua torna ch’era dipartita». Il Vittoriano era stato costruito per eternare il ricordo di Vittorio Emanuele II, “il Gran Re”, “il Padre della Patria” e non fu senza motivo che si scelse di collocare in quel luogo la tomba del Milite Ignoto, proprio per sottolineare che, accanto alla monarchia sabauda, ora anche i soldati d’Italia avevano creato la nuova nazione e per questo motivo il monumento fu da allora indicato come “Altare della Patria”, simbolo per tutti di sofferto senso del dovere e monito per tutti a non mettere avventatamente a rischio la vita dei cittadini. Il bisogno di ricordare quanti erano caduti nel corso del sanguinoso conflitto si concretizzò anche nella provincia di Reggio Calabria, sia nei grandi che nei piccoli centri, con l’erezione di monumenti e cippi in memoria dei soldati morti. Nel Capoluogo,  il 5 maggio 1930, presente Vittorio Emanuele III, fu inaugurato il monumento ai Caduti fatto erigere dall’Amministrazione Provinciale in memoria dei 6500 soldati della provincia di periti nel conflitto, opera dell’artista Francesco Jerace.  Anche le scuole cittadine resero omaggio ai  giovani studenti caduti al fronte. E’ il caso del Regio Liceo Classico “Tommaso Campanella” che eresse all’interno della scuola un cippo marmoreo, opera dell’artista reggino Enzo Roscitano (1889-1940) e del  Regio Istituto Tecnico “Raffaele Piria”.  Nell’androne della scuola, in corrispondenza dell’ingresso principale che si apre sulla via Marina, è possibile leggere una lapide dedicata a quanti morirono in guerra.

 

 

 

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