SANT’ ELIA SPELEOTA E L’ ACQUA MIRACOLOSA A MELICUCCA’
Sant’Elia Speleota è con San Nilo di Rossano uno dei più importanti rappresentanti del monachesimo bizantino in Italia.
La Chiesa Orientale gli ha conferito il titolo di “Sole d’Occidente”.
Secondo le fonti nacque a Reggio Calabria nell’864, figlio di Pietro e Leonzia.
Apparteneva ad una nobile famiglia.
Quando era bambino, Elia fu spinto a terra da un compagno di giochi e cadendo si fratturò una mano, un medico sprovveduto gli legò la mano ferita così forte che gli caddero le dita, per cui fu chiamato monochiro “con una sola mano”.
I suoi volevano farlo sposare con una giovane nobile, ma lui si oppose fermamente. Seguì la vita eremitica prima sulla collina di San Nicone sopra Taormina e in seguito raggiunse Padre Arsenio presso la chiesa di Santa Lucia a Mindino di Reggio. Perseguitato si trasferì a S. Eustrazio presso il paese di Armo(Sant’Agata).
Si rifugiò a Patrasso per scampare ai Saraceni, dove visse otto anni.
Rientrò non senza problemi in Calabria, arrivò alla Saline, dopo la morte del suo maestro e amico Arsenio, desideroso di conoscere Elia il Giovane.
Deciso a seguire una via solitaria, si trasferì alla grotte di Melicuccà al seguito di Cosma e Vitalio.
In principio visse nella “grotta piccola” che in un secondo tempo fu adibita a cantina e in seguito a cimitero.
Subito attorno a Lui si formò una schiera di fedeli così numerosa da indurre gli eremiti Cosma e Vitalio ad allontanarsi.
Una notte Elia ebbe una premonizione che lo spinse ad aprire un cenobio.
Elia sognò uno sciame d’api che gli girava intorno, senza però pungerlo, tanto che lui decise di raccoglierle tutte in un vaso che sistemò in un orto.
Alcune di quelle api però gli rimasero attaccate alla barba, segno che non volevano andare via.
Sant’Elia capì così che era volontà di Dio che lui restasse lì e aprisse in quelle caverne in monastero.
Fu allora che venne scoperta la ”grotta grande”
Con il passare degli anni i discepoli aumentarono, rendendo necessaria la costruzione di un cenobio vicino la sorgente chiamata “acqua di Sant’Elia”.
Sant’Elia morì l’11 settembre del 960 e fu sepolto nella grotta.
Il 2 agosto del 1747 furono ritrovate le ossa attribuite a Lui.
Un corpo senza testa insieme a quello di un altro monaco nella “grotta piccola”.
Secondo i racconti in quella circostanza avvennero fatto prodigiosi.
Quello più conosciuto riguarda Antonio Germanò che da ben 11 anni era preda del Demonio il quale aveva promesso di liberarlo, solo nel caso in cui venissero ritrovate le ossa di Sant’Elia.
Quando furono ritrovate l’abate Grillo per oltre un’ora esorcizzò Antonio, che alla fine del rito iniziò a correre verso la grotta più piccola, dicendo che si sarebbe fermato solo nel punto esatto in cui era stato sepolto Elia.
Arrivato all’interno della grotta cadde al suolo sfinito.
Lì dove si accasciò, secondo la leggenda, furono ritrovate le ossa e il giovane guarì.
Il 24 maggio del 1754 un’immagine di Sant’Elia custodita nella grotta iniziò a sudare.
Si narra anche che sotto l’occhio sinistro comparve un rivolo di sangue.
Veniamo ora al complesso delle grotte che come ha ben sottolineato il parroco don Paolo Martino è il luogo più santo di tutta la Calabria(meta di pellegrinaggi di cattolici e ortodossi), non solo perché scelto da Sant’ Elia per il suo eremitaggio e per i 150 monaci che lo seguirono, ma anche perché è stato calpestato da molti Santi tra cui: San Luca da Melicuccà, San Nicodemo di Sicri (città prima di Melicuccà), San Fantino di Lubrichi, San Filarete di Seminara e sembra sia passato anche Sant’Elia il giovane.
Le grotte scelte dai monaci si aprono lungo il fianco di una montagna nei pressi di quello che fu il tracciato ferroviario, a pochi chilometri dal centro urbano di Melicuccà.
Le celle furono ricavate nel tufo vicino a una sorgente e sono i resti di un importante complesso scavato nella roccia.
Della “lavra” insieme alle celle dei monaci rimane l’aulion (una nicchia piccola) e la grotta di Sant’Elia dove si arriva percorrendo una scalinata.
Si narra che i monaci costruirono una salina, un mulino, il palmento, la cantina e c’era anche lo scriptorium dove Sant’Elia si dedicava alla copiatura di testi sacri e naturalmente le necropoli.
Questa era la più grande delle caverne. All’interno c’è un altare in marmo costruito nel 1953.
C’è una falda acquifera da cui gocciola l’acqua di una sorgente spostatasi, con il passare dei secoli, settanta metri più a valle e chiamata ”L’acqua di Sant’Elia” che secondo i devoti è capace di guarire gli ammalati.
Sulla parete laterale dell’altare è scolpita la frase di Sant’Elia: ”L’acqua che gocciola dalla pietra inumidita della grotta ha la virtù di sanare”.
Inoltre si trova sulla parete di fondo della grotta la lapide in marmo che ricorda la visita del vescovo di Mileto Filippo Mincione, nel 1855, dove si legge anche “Helias fugat demones”.
Nei pressi della grotta ci sono i ruderi del monastero costruito dopo la morte del santo, costruito alla fine del X inizio XI secolo.
Fortissima è la devozione a Sant’Elia, la sua grotta è visitata da migliaia di fedeli, e tantissime sono le guarigioni ad opera dell’acqua miracolosa.
A Sidney in Australia i melicucchesi emigrati hanno fondato nel 1976 un’Associazione ”S. Elia Speleota” e ogni anno l’11 settembre viene festeggiato con la processione della statua per le vie del quartiere dove risiedono gli italiani.
Ringrazio don Paolo Martino, parroco della Parrocchia San Giovanni Battista di Melicuccà, a cui appartiene anche la grotta di San Fantino, per la squisita disponibilità e il ragioniere Orazio Buccisano per avermi fatto da guida all’interno delle grotte, un luogo che trasmette pace e spiritualità, un luogo santo, dalla bellezza incomparabile.
Per chi volesse approfondire la storia di San Elia e delle grotte consiglio la lettura del libro S. Elia Speleota di Paolo Martino Edizioni Officina Grafica.