Sulle colline di Limbadi sventolano le bandiere di “Libera”. A conficcarle tra gli ulivi delle terre confiscate alla ‘ndrangheta sono i volontari dell’associazione antimafia guidati dal responsabile provinciale Giuseppe Borrello. Il loro obiettivo è quello di mettersi in cammino <per la Memoria e per la Resistenza>, per non dimenticare l’orrore della violenza e porre un argine al dilagare della tracotanza. Un messaggio chiaro, un traguardo ambizioso che vogliono raggiungere con gesti significativi e iniziative concrete per lavorare sulle coscienze e far germogliare, giorno dopo giorno, il seme della speranza e del cambiamento.
Un progetto ricco di contenuti che, mettendo al bando ogni accostamento con le frequenti e inutili passerelle, si dispiega non in un giorno a caso, ma la Domenica delle palme, simbolo di pace e di solidarietà. Il cielo pieno di nuvoloni carichi di pioggia non agevola il programma, ma non l’ostacola neppure più di tanto. I partecipanti all’iniziativa si ritrovano di buon mattino davanti alla sede dell’ “Università della ricerca, della memoria e dell’impegno” intitolata a Rossella Casini. La passeggiata prende il via in direzione di località “Gumera”, dove, in un terreno confiscato, vengono raccolti ramoscelli d’olivo e, nel contempo, Giuseppe Borrello informa tutti i partecipanti che l’intero podere e il capannone esistente saranno trasformati, fra non molto, in un agriturismo.
I ragazzi di “Libera” si accorgono presto di non essere soli. Accanto a loro ci sono cittadini, amministratori comunali guidati dal vicesindaco Alessandra Limardo e col gruppo di opposizione al completo. Ci sono, a rappresentare lo Stato, il colonnello Bruno Capece, comandante provinciale dei Carabinieri; il capitano Nicola Alimonda, responsabile della compagnia di Tropea e i militari della caserma di Limbadi. Presenti anche rappresentanti della Guardia di Finanza. Ci sono, soprattutto, i familiari delle vittime di mafia, tutte persone segnate dal dolore e e che vedono la loro vita sfiorire aspettando il responso della giustizia oppure la possibilità di una tomba su cui poggiare un fiore. Non a caso, davanti alla lapide di Matteo Vinci, si ritrovano fianco a fianco, oltre ai suoi genitori Sara Scarpulla e Francesco Vinci, anche Gregorio Piperno, papà di Stefano ucciso nelle campagne di Nicotera e dato alle fiamme; Vincenzo Chindamo, fratello di Maria, la commercialista di Laureana di Borrello rapita davanti al cancello di un suo podere in comune di Limbadi e mai più trovata; Elsa Tavella, mamma di Francesco Vangeli, ucciso nel territorio di Mileto e del cui corpo non ci sono tracce; Carmine Zappia, il tabaccaio di Nicotera che ha avuto il coraggio di ribellarsi ai suoi aguzzini facendoli finire in galera. Tutti si stringono attorno alla tomba di Matteo.
E’ il momento del ricordo. Si rivive la tragedia, si rinnova la sofferenza. E quando un giovane del posto, con la sua tromba, intona le note del silenzio la commozione la fa da padrona. L’ingrato compito di riportare tutti al presente tocca a Giuseppe Borrello. Il giovane leader di “Libera” ritorna sul significato della “Via crucis” voluta per rinnovare la condanna della violenza e, soprattutto, per tracciare un percorso chiaro da seguire <per avviare la contronarrazione della storia di Limbadi che è cosa ben diversa dalla storia dei Mancuso>. Anche il sindaco Pantaleone Mercuri rievoca la figura di Matteo e sottolinea l’importanza della cultura per sconfiggere le negatività del contesto ambientale. Apprezzato anche l’intervento del colonnello Capece che esorta tutti ad uscire dall’ambiguità per privilegiare comportamenti chiari e scelte di campo certe. Poi la conclusione con Sara Scarpulla pronta a dire <basta alla carneficina anche perché lo Stato, se vuole, può. Il nemico non è venuto da fuori, ma ce l’abbiamo in casa>.