IL MATRIMONIO DI MIMMA.

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Mimma era la mia compagna di banco all’Istituto Magistrale T.Gulli di Reggio Calabria.

Da quando il primo anno mi aveva  sorriso, chiedendomi di sederci insieme, non ci eravamo più lasciate.

Per quattro anni, abbiamo condiviso i libri, le emozioni, le gioie, i dolori, le confidenze e i commenti.

Sempre al primo banco, quasi vicino alla cattedra, perché io volevo stare attenta alle spiegazioni dei professori, dietro mi sarei distratta, persa nei miei pensieri.

Poi dopo il diploma ci sentivamo per telefono, ancora non avevamo i cellulari.

Non mi ero iscritta subito all’Università, avevo preso il cosiddetto anno sabbatico, ero indecisa sulla scelta della facoltà.

Un anno di ricerca, perché ho letto  ogni genere di romanzo.

Al borgo natio le malelingue  non vedendomi in giro, avevano inventato  ogni sorta di cattiveria: ”E’ malata, è depressa. Perché non ha continuato a studiare?”.

Io ero solo assorbita dalle mie letture e dai miei primi scritti, vivevo circondata da libri, fogli e penne che avevano occupato, oltre la scrivania, ogni angolo della stanza.

Non sentivo il bisogno di uscire, solo qualche volta, quando mi assaliva il desiderio di vedere il mare, mi facevo accompagnare alla Tonnara di Palmi , allo scoglio dell’ulivo  il mio luogo dell’anima.

L’unico svago che mi permettevo, era una telenovela che trasmettevano la sera tardi:” Il peccato di OyuKi”.

Mi piaceva perché, oltre all’infelice storia d’amore della protagonista, raccontava del Giappone , delle sue bellezze, della religione e delle tradizioni.

Nove anni più tardi ho amato infinitamente  il libro “Memorie di una Geisha”, anzi lo amo ancora.

E poi ricordo ancora con emozione, un film che ho visto quell’anno “ Il pranzo di Babette”.

Il pranzo di Babette”, tratto dal  racconto scritto da Karen Blixen e pubblicato nel 1950, è ambientato in un piccolo villaggio norvegese nel 1871  e narra le vicende di due sorelle, Filippa e Martina, che, per seguire le regole imposte dal loro padre, pastore luterano, hanno rinunciato ai loro sogni e ad ogni piacere terreno così come hanno fatto tutti gli abitanti di Berlevaag.

Le due sorelle sono ormai anziane dopo aver trascorso una vita intera nella frugalità, dedicandosi agli altri e offrendo aiuto a chi ne aveva bisogno, quando arriva presso di loro Babette, una raffinata cuoca francese fuggita da Parigi perché accusata di essere una rivoluzionaria. Filippa e Martina la accolgono in casa, in cambio del suo aiuto come governante e nell’attività di carità che le due sorelle svolgono da sempre.

Quando Babette riceve una lettera dalla Francia e scopre di aver vinto 10.000 franchi alla lotteria, tutti sono convinti che quel denaro sarà per lei l’occasione per tornare finalmente in patria, ma Babette decide invece di spenderlo organizzando un pranzo in memoria del padre delle due donne e per dimostrar loro la propria riconoscenza.

I 12 partecipanti al banchetto, dieci membri della congregazione più due ospiti illustri in visita al villaggio, saranno intimamente toccati da quel pranzo, un pranzo che, dopo una vita passata nella rinuncia, li seduce e li inebria. Una sola persona, però, il generale Loewenhielm, antico spasimante di Martina, riconoscerà Babette e si renderà conto del reale valore economico di quel pranzo. Babette, che altri non è che la famosa cuoca del Café Anglais, per procurarsi gli ingredienti, le bevande, i cristalli e le stoviglie ha speso tutto il suo denaro e, nuovamente povera, rimane in Danimarca (del resto lei in Francia non ha più nessuno), ma, come lei sottolinea alle due sorelle quando tutti gli invitati sono andati via ignari della sua identità, «un artista non è mai povero».

Prima della fine dell’anno ho capito che dovevo riprendere gli studi e così ho chiamato Mimma,  proponendole di iscriversi anche lei insieme a me all’Università di Messina, ma lei mi aveva subito risposto che con lo studio aveva chiuso.

Dopo un po’ di  tempo , mi aveva chiamata per annunciarmi il suo fidanzamento.

Si era fidanzata ufficialmente, cioè con tanto di rose, anello di fidanzamento e confetti verdi .

Un anno dopo, Mimma, in un’altra telefonata, mi aveva chiesto l’indirizzo postale:  si sposava e mi invitava al matrimonio.

L’arrivo dell’invito è stato una grande emozione, ricordo la meticolosa scelta del vestito da indossare: un tubino di Egon von Furstenberg  bianco e nero , la giacca era bordata di foglioline dorate( conservo ancora la foto scattata prima di partire).

Meticolosa è stata anche la scelta del regalo, volevo qualcosa che le rimanesse per sempre.

Alla fine la scelsi un servizio per dolci, prezioso e particolare.

Ricordo la notte precedente il matrimonio, per l’emozione e l’ansia non riuscii  a dormire e all’alba si presentò un terribile mal di testa.

Stavo malissimo, ma non potevo perdere il matrimonio di Mimma.

Un antidolorifico risolse il problema, ma ormai  avevo perso il rito religioso.

Mi  preparai velocemente e insieme a papà partimmo alla volta di  Melito Porto Salvo, dove alla Sala Venus gli sposi avrebbero salutato parenti ed amici.

Non potevo immaginare che il matrimonio di Mimma potesse sconvolgermi tanto.

Quando gli sposi arrivarono, vedere Mimma la mia compagna con il suo bellissimo abito da sposa, mi sconvolse, una forte emozione mi travolse fino alle lacrime.

Ero ad un matrimonio, ma avevo un solo desiderio: sedermi in un angolino e piangere.

Il tempo era passato così in fretta. Perché?

Mimma mi sembrava grande, non sembrava quella ragazza timida e dolce  che abitava dalle suore: Istituto Maria Mater Gratie.

Non piansi, non volevo fare brutta figura, perché  c’erano anche altre due compagne di scuola, Angela con il suo fidanzato e Maria Rosa.

C’era tutti gli abitanti del  paese di Mimma, arrivati in autobus.

Tutta Roccaforte del Greco era in festa ed io volevo solo piangere!

“Chissà se anch’io un giorno mi sarei sposata?”

Allora era un sogno che  profumava ancora di  fiabe, quelle fiabe  che tanto avevo amato nella mia infanzia.

Ma la vita non è una fiaba , è terribilmente diversa.

Papà me lo ripeteva spesso , ma io continuavo a sognare un bouquet di zagara e rose, un velo di pizzo francese, la cattedrale di Oppido Mamertina e  l’Ave Maria di Schubert.

Forse anche per questo, al matrimonio di  Mimma mi veniva da piangere e forse, perché, in fondo al mio cuore,  sapevo che papà, purtroppo, aveva ragione.

Il pranzo fu semplice all’italiana:  l’aperitivo, l’antipasto, lasagne, carne  con contorno di patate e la torta nunziale.

Quando servirono l’aperitivo, mi colpì la quantità delle olive presenti.

Mi emozionai quando gli sposi al grido di “bacio, bacio” si scambiarono un timido bacio.

Al ritorno da Melito  Porto Salvo, al borgo natio un freddo tremendo mi trapassò l’anima, nonostante fosse estate, e giurai che non sarei mai più andata al matrimonio delle mie compagne di scuola, troppo doloroso per me.

L’ultimo ricordo di Mimma è la sua telefonata, dove mi annunciava che era diventata mamma di una bambina, di nome  Francesca,  se non sbaglio.

Dopo le mie letture, i miei studi, i miei scritti e  i  molti dolori, hanno sepolto il ricordo di Mimma che oggi, in questi malinconici giorni settembrini, è ritornato  inspiegabilmente al mio cuore.

Mi chiedo adesso come sta, quanti altri figli ha avuto, magari è già nonna. Chissà!

Non mi è dato saperlo.

Un giorno vorrei andare a Roccaforte Del Greco e cercarla, vorrei tanto rivederla la mia piccola, cara Mimma, compagna di banco, sogni e sorrisi.

La bomboniera del suo matrimonio , l’avevo conservata, è rimasta al borgo natio, anche lei  persa sul lago del tempo.

Un lago di lacrime, sogni svaniti e attese disattese, sepolte in fondo al mio cuore, insieme al bouquet di zagara e rose e il velo mai indossato di pizzo francese.

 

 

 

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