Un appello alla ragione e al buon senso.

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Non si sa ancora di che cosà perirà l’attuale legislatura comunale 2012/2017 – la quinta dalla riforma che sancì l’elezione diretta dei sindaci – ma è legittimo interrogarsi sui possibili, futuri candidati. Ma quali sono le caratteristiche che dovrebbe avere il prossimo inquilino di Palazzo Convento e la squadra che dovrebbe attorniarlo e il contesto sociale nel quale tali candidature dovrebbero maturare?

Cominciamo innanzitutto col dire che siamo in una dimensione municipale e che quindi le differenze politiche o partitiche contano poco o niente. Sui grandi principi ci ritroviamo tutti. Ad esempio trovatemi uno, di destra, di centro o di sinistra che non sia favorevole alla ristrutturazione del carico fiscale o alla maggior cura dell’ambiente? Tranne i soliti quattro bacucchi che ancora ragionano su scenari ottocenteschi, il 95% della popolazione è’accordo che stante, l’attuale situazione, è necessaria soprattutto una svolta, un colpo di reni e che sulle grandi questioni l’accordo è possibilissimo basta la volontà. Ma l’accordo è possibile anche se scendiamo nel particolare. Già nella scorsa campagna elettorale, dove abbiamo avuto candidati sindaci di diverso colore politico, abbiamo notato come gran parte dei programmi si somigliassero. E questo perché i problemi del paese sono noti da trent’anni e sono quelli citati in decine di convegni e di articoli di stampa ben documentati. Risanare lo sgangherato sistema viario, fare l’anagrafe tributaria, avviare un piano di partecipazione popolare, risolvere il problema idrico e quello dell’inquinamento marino, creare un sistema di welfare municipale, solo per citarne alcuni, non sono problemi di sinistra, di centro o di destra. Sono problemi e basta. Anzi io penso che la soluzione dei problemi, stia molte volte proprio nell’acquisire le diverse sensibilità, anche politiche, che ognuno di noi ha. Se un problema lo guardi da più prospettive infatti, hai più possibilità di risolverlo. E questo atteggiamento sicuramente servirebbe a lenire il clima di pesante contrapposizione che si respira oggi in città, dove tutti stanno “l’un contro l’altro armati”.

Posti questi primi due assunti, appare chiaro che io auspico quindi una competizione tra liste civiche con dei programmi ben strutturati. Se poi gli esponenti dei partiti, in piena autonomia, decidano di appoggiare una di queste stesse liste, lo facciano in maniera chiara, pubblica, fornendo l’appoggio che serve ma, a mio avviso, soprattutto nella fase successiva, quella post elettorale dell’amministrare, visto che qualunque compagine dovrà avere i suoi canali preferenziali con gli organi superiori di governo: regione e governo centrale in primis.

Va poi auspicata una assoluta discontinuità. Quello che io invoco non è una rivoluzione giacobina, né tantomeno un colpo di spugna o peggio un ritorno a film già visti. Serve – per usare la formula di Jean Lesagè – una “rivoluzione tranquilla” che non è un alchimia, un controsenso lessicale o un astrazione politilogica, bensì una innovazione nella prassi amministrativa che sia non invasiva o coercitiva ma duttile, quasi pedagogica, capace cioè di aggregare con pazienza, attorno ad un serio progetto riformatore (e badate uso questo termine in senso neutro, perché le storicamente grandi riforme sono state fatte sia da governi di destra che di sinistra) tutti quei segmenti della società nicoteresi disposti ad aderire a questo approccio.

Un progetto declinato nel quadro del pieno rispetto della legge, di una seria regolamentazione dei principali aspetti della vita civile e di un forte e costante mobilitazione e partecipazione popolare, delle persone singole, dei gruppi, delle associazioni, della stampa che vanno coinvolti anche loro.

Un progetto infine che non sia da intendere come semplice “nuovismo” ma un “nuovo corso” che recuperi e riattualizzi nel presente quanto di meglio vi è nella tradizione culturale e sociale, nicoterese. Questo “nuovo corso” necessita ovviamente di figure nuove. Ma anche qui vanno posti dei distinguo. Chi ha amministrato questo paese negli ultimi decenni o ha avuto parte attiva nel processo decisionale amministrativo anche in veste tecnica, dovrebbe essere coinvolto ma non nella compagine elettorale. Si tratta comunque di un insieme di risorse umane, a disposizione dell’amministrazione, che vanno tenute in debita considerazione. In ogni società difatti, c’è sempre stato bisogno di “consigli di saggi”, di “gruppi di riflessione”, di gente che ha una conoscenza sui dossier più importanti – in riferimento ai vari problemi che attanagliano la comunità – che va utilizzata. Così, tra l’altro, nessuno si sentirà escluso a priori (cosa che fa sempre male) ma si sentirà parte attiva del processo. Il livello amministrativo invece toccherebbe a figure individuate sul metro della comprovata onestà, della non soggiacenza a possibili conflitti di interessi, della professionalità, della buona preparazione culturale, dell’interesse disinteressato dimostrato verso la propria città e della buona percezione che i cittadini hanno di queste persone.

E figure nuove dovranno anche essere i candidati a sindaco. Sia in termini anagrafici, perché fare il sindaco di una città con questi problemi e che si struttura su ben cinque nuclei urbani, richiede vigore, freschezza di ragionamenti, e una certa visione del mondo e del futuro che, per questioni attinenti alla sfera psicologico-comportamentale, sono proprie di questa età, che è quella della piena maturazione dell’individuo e quindi né della giovinezza e né della senescenza. Un principio questo che per me dovrebbe valere anche per i componenti delle liste, posto che, i giovanissimi possono servire solo come forza di mobilitazione permanente e i più anziani solo come tecnici e consiglieri. Occorre poi che i candidati a sindaco siano persone che dispongano di tempo per l’incarico o che siano strutturati in maniera tale da trovare il tempo di fare il sindaco. Il sindaco che io mi immagino, non deve sentirsi né un Messia, né un eroe, né il depositario della verità. Piuttosto dovrebbe considerarsi il “primo impiegato del municipio”. Uno che sta lì e viene pagato per risolvere i problemi della gente col supporto della comunità, nelle sue varie articolazioni. Insomma la versione amministrativa del buon padre di una famiglia numerosa e nel nostro caso spesso litigiosissima o del medico di famiglia.

Ovviamente per trovare una simile figura occorre che questa persona abbia anche dei lati caratteriali riconoscibili: non sia un presuntuoso, un borioso (unu du pinnakkiu per intenderci alla calabrisi) non sia un estremista, un dogmatico. Una persona retta, ferma, decisa, attenta, ma allo stesso tempo, cortese, disponibile, paziente, riflessiva che decida ma che prima di decidere, abbia il buon senso di ascoltare, di consultarsi, di confrontarsi con tutti. Una persona che – prendo in prestito le parole del parroco – ami la città ma ami soprattutto i suoi concittadini e che parli chiaro rifuggendo dl politichese e che vegli lui stesso innanzitutto sulla sua condotta. E questo vale anche per i candidati. E attenzione, uno scelto non in virtù del potenziale elettorale che esprime, ma indicato dalla propria lista, perché proprio in virtù delle succitate caratteristiche gode del consenso del gruppo che lo esprime. E se ve ne uscite che è impossibile trovarlo, beh vi dico che siete totalmente fuori strada. La statistica ci viene in aiuto. Posto che sarebbe auspicabile fare non più di tre liste per un totale di 36 candidati, e posto che siamo 5500 adulti si tratta quindi dell’0.7% del totale. Ora francamente mi pare impossibile che in un paese come il nostro, non si trovino trentasei persone con siffatte caratteristiche. Un ultima questione: la ricerca del voto.

Sento alcuni dire che è sbagliato cercare i voti. In una grande città la campagna è sempre impersonale data l’ampiezza del bacino elettorale. Ma in un piccolo paese come il nostro, cercare il voto non deve far pensare necessariamente a qualcosa di sporco, di scorretto, di inquinato. Cercare il voto significa coinvolgere il cittadino in una scelta consapevole, farlo sentire parte del progetto di comunità che si intende portare avanti. L’importante è che i candidati non promettano nulla all’elettore tranne che si impegneranno a realizzare il programma e che il palazzo sarà la casa di tutti. Sogni? Fantasticherie facebokkiane serali? Può essere, certamente. Ma io penso che questa sia davvero l’ultima spiaggia e l’ultima occasione. Due amministrazioni non hanno neanche concluso il loro mandato, due sono state commissariate e su un’altra pende la spada di Damocle. Io un tentativo lo farei.

E un ultimo suggerimento. Nel futuro consiglio comunale ovviamente ci sarà una maggioranza e una o due opposizioni. Ecco l’opposizione non dovrebbe essere considerata un nemico. Il “nuovo corso” della “rivoluzione tranquilla” passa anche da un nuovo tipo di rapporto tra i vari attori in campo. In una elezione non ci dovrebbero mai essere vincitori e vinti. Solo ruoli diversi ma accomunati dal comune obiettivo: il bene della città. Questo non significa una opposizione taciturna o addomesticata ma solo una opposizione che sia anche essa considerata come una potenziale risorsa dall’amministrazione in carica. Tra amici del resto quante volte ce le diamo di santa ragione? Ma poi, tornati ognuno alle proprie case, torniamo da amici. Ne guadagniamo noi in salute e ne guadagna la città che non ha bisogno di nuove divisioni. PS. So perfettamente che queste parole resteranno inascoltate come sempre e che di sicuro mentre Le scrivo le varie fazioni affilano già le armi. Fate come volete, è democrazia anche sbagliare, tanto non sarò certo io a disturbarvi. Non me ne prendo più di tanto lo sapete, ma è sempre piacevole scambiare due chiacchiere con voi. Tutto qua !

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