Perché papa Francesco riabilita Lutero

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Perché papa Francesco riabilita Lutero

[Il pontefice con i reali di Svezia, foto di Michael Campanella/Getty Images]

In Svezia, sul set bergmaniano de Il posto delle fragole, Bergoglio cerca di colmare il divario con i protestanti per combattere il cristianesimo identitario, strumento dei populismi.

A mezzo millennio da Martin Lutero e a mezzo secolo da Ingmar Bergman, la cattedrale di Lund è ancora una volta il “posto delle fragole”. Dove l’asprezza dei ricordi evolve, si converte in dolcezza dei gesti.


E dove un dialogo acerbo matura e sperimenta il sapore del Verbo: “Con gratitudine riconosciamo che la Riforma ha contribuito a dare maggiore centralità alla Sacra Scrittura nella vita della Chiesa… Chiediamo al Signore che la sua Parola ci mantenga uniti.”


Come nel film del regista svedese, le mura millenarie, con il loro magnetismo, catturano la scena di una metamorfosi. Una catarsi che solo il tempo sa operare nei protagonisti, aggiustando l’inquadratura e illuminando la zona d’ombra. Sicché la primavera giunge d’autunno, anche a una latitudine già invernale.


Occasione da non perdere per Bergoglio, papa cinefilo, amante dei maestri degli anni Cinquanta: “Con questo nuovo sguardo al passato non pretendiamo di realizzare una inattuabile correzione di quanto è accaduto, ma raccontare questa storia in modo diverso”, ha spiegato all’arrivo, dopo l’appello rivolto in volo ai giornalisti: “Aiutateci a far capire”.


Così, con un anno di anticipo sul quinto centenario, Francesco ha trasformato la “protesta” di Lutero in festa cattolica, nonché canonica. O poco ci è mancato. E ha inaugurato le danze, schiodando le tesi del monaco ribelle dai battenti di Wittenberg, dove furono affisse nel 1517, per iscriverle d’ufficio sulla porta del Giubileo e registrarle nel libro dei romani pontefici.


“Profondamente grati per i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la Riforma”, recita la dichiarazione comune, sottoscritta con il palestinese Munib Yunan, presidente della Federazione Luterana Mondiale.


Gli storici lo chiameranno ecumenismo del tango: un transfert dalle atmosfere creole a quelle scandinave, un allungo dal Baltico al Rio de la Plata. Rinunciando ai giri di valzer dei teologi, che la prendono alla larga, e avanzando magnanimo negli spazi stretti, come in una milonga di Buenos Aires. Buttandosi avanti e sapendo di non poter tornare indietro, in ossequio alle regole del ballo: “Abbiamo una nuova opportunità… Non possiamo rassegnarci alla divisione e alla distanza che la separazione ha prodotto tra noi”.


Con il paso doble suddetto, Bergoglio raggiunge traguardi che a Giovanni Paolo II e Benedetto XVIsarebbero preclusi, scontando il peccato originale di un pregiudizio etnico-geografico: degli ortodossi russi all’indirizzo del papa polacco e dei protestanti tedeschi nei confronti del pontefice bavarese.


Due derby, uno tra slavi e l’altro fra teutonici, nei quali le difese hanno avuto buon gioco in interdizione, stoppando le geometrie di Ratzinger, l’austero, e le acrobazie di Wojtyla, il condottiero. Ma non le fantasie palla a terra di Francesco, il manovriero. Realista e concreto quanto basta per puntare al risultato e portarlo a casa, prima del 90′, che stavolta coincide con la duplice chiusura, il 20 novembre, di Anno Santo e anno liturgico, nella domenica di Cristo Re: giorno in cui stilerà bilanci e tirerà somme.


Disposto a scoprirsi, a cedere terreno e a prendere gol persino, ma determinato, infine, a metterne a segno uno in più: come in febbraio a Cuba quando, pur d’incontrare il patriarca Kirill, ha siglato con lui una sorta di “Yalta religiosa”. Un accordo di desistenza che impegna le due chiese a non arruolare proseliti e a non evangelizzare, de facto, nelle altrui zone di influenza, dove Karol Wojtyla posizionò, a presidio, i propri vescovi, con la consegna di marcare a uomo.


E come oggi a Lund, quando non si è limitato a riabilitare Lutero, ma lo ha celebrato e addirittura è sembrato che stesse per annoverarlo tra i beati, con tempismo perfetto e significativo, nella vigilia della solennità di Ognissanti. Un passo che Joseph Ratzinger non avrebbe mai compiuto, vedendo nella riforma protestante, notoriamente, il primo ciak e l’incipit della deriva relativista del pensiero moderno.


Valutazioni che Bergoglio condivide sul piano scientifico, come dimostrano i suoi scritti argentini, ma che sbiadiscono e svaniscono in un quadro geopolitico, da quando è asceso al soglio petrino. Paradosso in virtù del quale il primo papa della Compagnia di Gesù, nata segnatamente allo scopo di contrastare il protestantesimo, trova nel nemico di sempre un alleato, impensato più che insperato.


Come nei film dei supereroi, quando i protagonisti depongono antiche, anacronistiche rivalità per fronteggiare il mostro: un gigante tecnologico partorito dalla scienza e intenzionato a scalzarli dalla loro primazia, elevando il relativismo a dogma di fede. Oppure, ipotesi ancora più terrificante, un Jurassic World delle religioni, dove i vecchi dinosauri del cattolicesimo, del luteranesimo e dell’ortodossia smettono di combattersi a vicenda per scongiurare una temibile mutazione genetica: una nuova specie aggressiva, uscita dal crogiuolo della storia e in grado di travolgerle, anzi stravolgerle, deformandone mission e vision.


Oggi, esattamente come cinquecento anni fa, l’Europa è infatti teatro dello scontro tra due cristianesimi. Con una differenza di fondo però, che attiene al dna, poiché la disputa non verte sul conflitto tra coscienza e autorità, quanto piuttosto tra uguaglianza e identità.


Da un lato un cristianesimo identitario: che dopo essere stato liberato dai muri ne costruisce di nuovi, alzando il vessillo e vestendo la corazza di una fede anabolizzata e gonfia di proclami, fuori, ma sterilizzata e vuota di linfa evangelica, dentro.


Dall’altro il cristianesimo egalitario, che riconosce in Bergoglio la sua bandiera e lo segue tra l’esultanza dei fedeli e la riluttanza dei governi, preoccupati di dover pagare un prezzo politico.


Una tenzone che non risparmia, in prospettiva, neppure le rive della Svezia felix, dove il partito xenofobo lambisce il 15%. Fenomeno che ha indotto socialisti e moderati a correre ai ripari, congelando il patto di unità nazionale fino al 2022: una scadenza inconcepibile al sole del Mediterraneo, dove le maggioranze si sciolgono in un baleno.


“Esortiamo luterani e cattolici a lavorare insieme per accogliere chi è straniero e a difendere i diritti dei rifugiati e di quanti cercano asilo”. Profughi e migranti, agli occhi del pontefice, compongono dunque il banco di prova e la frontiera, mobile, del movimento ecumenico, dove si attesta il cammino comune e si testano i cromosomi, la fisionomia delle chiese cristiane.


“Come posso avere un Dio misericordioso?”. La misericordia divina, tormento di Lutero, che in sede speculativa divise in due la cristianità del secondo millennio, diviene, alle soglie del terzo, strumento di rinnovata unità operativa: “Senza questo servizio al mondo e nel mondo, la fede cristiana è incompleta”.


Sul set bergmaniano de Il posto delle fragole, Bergoglio raccoglie i frutti del lavoro avviato cinquant’anni or sono e chiude, al tempo stesso, un ciclo produttivo, trasferendo la pianta dell’ecumenismo dalla serra protetta della teologia, dove tutto appare chiaro e incontaminato, alla selva oscura del mondo globalizzato. In un groviglio a crescita continua che rende arduo discernere il grano dalla zizzania.


Nelle latitudini del grande Nord, il Papa del profondo Sud, in definitiva, è venuto a cercare d’autunno la primavera. E a invertire le stagioni della storia. Consapevole, in un’ottica gesuitica e cinematografica, “che il passato non si può cambiare, ma che la memoria, e il modo di fare memoria, possono essere trasformati”.


Articolo originariamente pubblicato su L’Huffington Post

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