Siria: Unicef, mezzo milione di bambini sotto assedio

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2016-11-28 Radio Vaticana

 

 

 

 

 

 

Ancora combattimenti ad Aleppo, seconda città della Siria. Le forze governative hanno annunciato di aver conquistato un altro quartiere della parte est, a lungo nelle mani dagli insorti, tagliando di fatto in due l’area ancora controllata dai ribelli. Migliaia di civili intanto continuano a lasciare la zona: quasi in 10.000 sarebbero fuggiti nel week end verso i distretti sotto il controllo dei lealisti o dei peshmerga curdi. E si aggrava l’emergenza per i bambini: l’Unicef denuncia come il numero di quelli che vivono sotto assedio sia raddoppiato in meno di un anno. Ce ne parla Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, intervistato da Giada Aquilino:

R.  – Abbiamo 500 mila bambini che vivono in 16 aree assediate, praticamente in tutto il Paese, tagliati fuori dagli aiuti umanitari e dai servizi di base. Il dato che ci sconcerta è che per milioni di civili, non soltanto bambini, la vita è di fatto un incubo. Questi piccoli vengono uccisi, feriti e hanno paura di andare a scuola o a giocare; vivono con poco cibo, quasi nessuna medicina. In alcune aree sono costretti a cibarsi di piante, di foglie, oppure purtroppo di carcasse di animali. Ci sono comunità che hanno ricevuto pochissimi aiuti in due anni. Ad Aleppo est noi stimiamo che ci siano 100 mila bambini che vivono sotto assedio. E spesso vivono – e giocano – in seminterrati di scuole o ospedali. Questo conflitto sta entrando nel suo sesto anno e abbiamo rinnovato il nostro appello a tutte le parti affinché si tolgano questi assedi nell’intera Siria, per consentire perlomeno l’ingresso degli aiuti umanitari incondizionati e continui nel Paese.

D. – Quali sono i maggiori pericoli per i bambini?

R. –  Se giocano all’aperto o in aree che sono state precedentemente bombardate si trovano a rischio di mine, di bombe inesplose oppure c’è il pericolo che possano essere bombardati essi stessi quando sono a scuola. Questa ormai è una guerra che non tiene più conto di nulla. Si bombardano indifferentemente le scuole, gli ospedali, addirittura gli aiuti. Non ci sono luoghi sicuri. Ci raccontavano i nostri operatori che ci sono degli scantinati collegati l’uno con l’altro, dove sono stati allestiti dei parchi giochi per i bambini sotto terra. Ci sono addirittura 200 bambini al giorno! Ed esistono delle scuole che, in maniera sotterranea, fanno lezione per i bambini, come a dire che fuori la situazione è davvero terribile.

D. – I civili sono in fuga da Aleppo, dove le forze lealiste stanno riconquistando diversi quartieri cruciali. Di quale assistenza hanno bisogno?

R. – Hanno bisogno di tutto. Sicuramente aiuti di prima necessità e servizi igienici, ma anche assistenza psicologica. Noi siamo particolarmente preoccupati perché quelli che fuggono nella parte ovest dovranno anche sottoporsi a dei controlli estremamente rigidi e complessi da parte delle truppe lealiste: questo ci auguriamo avvenga nel rispetto del diritto umanitario, di tutti i protocolli che sono stati firmati fino ad oggi. I racconti che ci arrivano, parlano di una popolazione stremata e di bambini che purtroppo non solo portano delle ferite fisiche ma anche psicologiche e hanno bisogno di aiuto in questo senso.

D. – In queste ore sui social network rimbalza il tweet della bambina siriana, Bana Alabed, che con l’aiuto della mamma dice che ad Aleppo est la situazione è drammatica, ci sono tanti bombardamenti: “siamo tra la vita e la morte”, afferma. Qualche anno fa ci fu il caso di Aylan che scosse l’opinione pubblica internazionale. Dopo Aylan, è successo poco dal punto di vista diplomatico…

R. – Non servono foto, non servono tweet, non servono immagini e non servono indignazioni del giorno dopo, che durano ormai il tempo che trovano. Serve uno sforzo della comunità internazionale, una presa di coscienza che quello che sta accadendo è l’evento peggiore dalla Seconda Guerra Mondiale, peggio ancora della guerra in Bosnia. Servono fatti, un percorso che porti a una pace concreta. E la pace purtroppo implica soluzioni e la comunità internazionale non ne ha. Siamo tutti responsabili di questo disastro e di questo massacro. La voce di questa bambina è soltanto l’ultima delle voci che, da sei anni, si levano ogni giorno da milioni di bambini.

(Da Radio Vaticana)

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