Alcuni commentatori si sono meravigliati che non abbia fatto accenno al muro con il Messico o alla revoca dell’Obamacare, ma non è affatto una sorpresa: questi sono dossier importanti che richiedono una valutazione ponderata e di lungo periodo e l’approvazione del Parlamento. Troppo complesso. Insistere con la retorica su queste tematiche avrebbe significato illudere la gente ed esporsi al rischio di venir considerato alla stregua di tutti i politici, che non riescono a mantenere quel che promettono in campagna elettorale. Ma Trump non è un politico è un imprenditore e in quanto tale ha individuato, realisticamente, le decisioni che potrà prendere davvero nei primi cento giorni alla Casa Bianca. Sono quelle che non richiedono l’approvazione del Congresso.

E,complessivamente, non sono sconsiderate. Vediamole rapidamente.

L’annullamento del Trans-Pacific Partnership (Tpp) ovvero del trattato di libero scambio con i Paesi asiatici rappresenta non soltanto un colpo ad Obama ma anche – soprattutto – alla lobby delle multinazionali e all’élite transnazionali. Il messaggio è chiaro: in gioco non c’è la libertà di commercio ma le priorità nell’agenda di un Paese. Trump ritiene che oggi sia fondamentale creare le condizioni per far rinascere il tessuto industriale negli Stati Uniti ed è convinto – non a torto – che trattati come il TPP e l’ormai defunto TTIP con l’Europa producano gli effetti opposti ovvero incoraggino l’esportazione di posti di lavoro e di know-how all’estero, esponendo gli Usa a due rischi strategici: la dipendenza dall’estero e il continuo impoverimento della classe media e del tessuto sociale americano. Bloccando i trattati muove un primo passo verso un cambiamento radicale delle politiche economiche perseguite fino ad oggi e rimette l’interesse economico nazionale al centro dell’agenda. Lo dice chiaramente: “Negozieremo equi accordi commerciali bilaterali che portano posti di lavoro e l’industria sulle coste americane». Il che non significa bloccare il libero scambio ma indurre l’industria privata a ripartire dagli Usa

La lotta all’immigrazione clandestina inizia con un’indagine sul traffico dei visti, che si traduce in un richiamo ai funzionari al rispetto della legge. Non è certo una misura estremista.

Più controversa è la questione dell’energia. «Cancellerò le restrizioni killer per il lavoro sulla produzione di energia americana, compresa l’energia dallo shale e il carbone pulito, creando diversi milioni di posti di lavoro ben pagati». In realtà Obama stesso aveva già violato le promesse ecologiste autorizzando l’estrazione di petrolio di scisto che è molto inquinante. Quali sono le restrizioni killer a cui Trump fa riferimento? Non lo spiega, la speranza è che queste misure non siano irresponsabili ovvero che non conducano a un aumento dell’inquinamento.

Sulla sicurezza nazionale non ha annunciato nuove restrizioni alla libertà degli individui ma una misura di buon senso: la protezione delle infrastrutture vitali; semmai è sorprendente apprendere che dopo 15 anni di lotta al terrorismo non lo siano ancora.

Infine una decisione davvero rivoluzionaria per contrastare lo strapotere delle lobby. Uno dei maggiori problemi di Washington è rappresentato dal cosiddetto sistema delle “porte girevoli” che si traduce nel continuo passaggio di ministri e alti funzionari dall’industria privata al governo e viceversa, con effetti facilmente intuibili: influenza delle lobby, abusi normativi e nell’uso del denaro pubblico. Decidendo una norma semplicissima – «Un bando di cinque anni sulla possibilità per i funzionari di alto livello di diventare lobbisti quando lasciano l’amministrazione e un bando a vita sulla possibilità che diventino lobbisti per conto di governi stranieri» – Donald Trump fa quel che il presunto moralizzatore Barack Obama non ha nemmeno contemplato in otto anni: pone le premesse per spezzare la corruzione implicita che corrode da troppo tempo Washington.

Mica poco.

Fonte. Il Giornale.