Il Presidente della Conferenza Episcopale Calabra è intervenuto a Napoli durante il Convegno «Chiesa e lavoro. Quale futuro per i giovani nel Sud?»

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Questa mattina il Presidente della Conferenza Episcopale Calabra, Mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo Metropolita di Catanzaro-Squillace, è intervenuto duranti i lavori del convegno «Chiesa e lavoro. Quale futuro per i giovani nel Sud?», che ha visto l’8 e il 9 febbraio a Napoli la partecipazione delle Chiese di Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna.
Lo si apprende dal sito della Conferenza episcopale calabrese (CAC) – www.calabriaecclesia.org – secondo cui Mons. Bertolone, rimarcando il contesto della Calabria e del meridione in genere,  ha evidenziato come tutti «abbiamo il dovere di dare oggi il meglio del meglio di noi stessi». A rafforzare il suo dire anche il pensiero di Sant’Agostino: «Sono tempi cattivi, tempi penosi! Cerchiamo di viverli bene e i tempi saranno buoni».
Per il presidente della CEC «La “questione lavoro” – intesa come assenza del lavoro, come precarietà delle sue forme e della sua stessa qualità – è un’emergenza, anzi una mina vagante, soprattutto nella sua configurazione giovanile e meridionale, dove più alto é il rischio che alla mancanza di lavoro si accompagnino una destrutturazione delle identità individuali, una frantumazione dei percorsi esistenziali e, non ultimo, un fondato rischio per la coesione sociale».
«Costruire le condizioni per creare lavoro per tutti – ha detto il Presule – si pone come lo strumento privilegiato per dare o ridare dignità alle persone, per soddisfare i bisogni materiali, ma anche per rispondere a chi ha fame  e sete di giustizia, di dignità, di autorealizzazione, di speranza di futuro e, perciò, non può essere lasciato solo nella disperazione».
Ma, dinanzi a noti dati angoscianti come: disoccupazione, neet, lavoro nero, illegalità, caporalato, criminalità organizzata nel sistema economico e imprenditoriale, «non tutto  è buio  in Calabria».
 Anche se con sforzo, ha evidenziato Mons. Bertolone, «crescono nuove esperienze imprenditoriali, si assiste ad una riscoperta dell’esperienza mutualistica e cooperativa, si osserva un ritorno alla terra ed al lavoro manuale per troppo tempo  considerati negativamente; si conoscono le denunce degli imprenditori e si avverte  nella gente  una grande voglia di politica nuova ed alta. Si ha la sensazione di trovarsi davanti ad un bivio: ora o mai più. Non coltivare queste piccole nuove gemme, disperdere il germe di speranza in esse contenute, soffocarle a causa anche di una politica non lungimirante, costituirà la responsabilità maggiore di chi, avendo il potere, ha anche il dovere di costruire la casa comune»
Nell’ottica di una proposta su come rispondere alla vera e propria “fame di lavoro” delle fasce giovanili,  guardando in faccia i problemi senza scoraggiarsi, con giovani soggetti protagonisti e non oggetti, Mons. Bertolone ha evidenziato la necessità di iniziative politiche nazionali e regionali urgenti con progetti di sviluppo.
 Tre, infine,  le proposte presentate dall’Arcivescovo Bertolone a tutti i convegnisti: 1) «La prima e più importante è quella di ricostruire una idea comune di sviluppo.  Ci sono state proposte, nel tempo e dall’alto, molte vie di sviluppo: cattedrali nel deserto, call center, animatori per i villaggi turistici, impiego precario in lavori sociali. Queste vie si sono rivelate fallimentari e spesso all’origine di ulteriori e nuovi problemi irrisolti. Non c’è sviluppo senza una rinnovata consapevolezza del bene comune come fine proprio dell’azione politica ed economica ed in una più ampia considerazione che il lavoro non è creato da leggi, decreti e sussidi, ma solo da imprenditori innovativi e da imprese capaci di stare su mercati sempre più competitivi, esigenti e globalizzati. Bisogna sapere e volere trasformare in reddito e lavoro ciò che è proprio di una determinata realtà territoriale ed economica. Per questo è opportuno che le autorità nazionali e regionali sappiano differenziare e specificare gli strumenti di promozione imprenditoriali in funzione delle reali opportunità di territori interessati, anche ricorrendo a sostanziosi  sgravi fiscali per le imprese, di detrazioni e deduzioni fiscali a beneficio dei consumatori, di ridefinizione dei sistemi contrattuali collettivi e  individuali di ingresso nel mondo del lavoro in grado di evitare forme di sfruttamento mascherato dei giovani lavoratori, di sostegno per l’accesso al credito bancario e di una radicale semplificazione amministrativa». 2) «La seconda azione è creare una capillare rete regionale per valorizzare in maniera coordinata i beni culturali, artistici, architettonici, archivistici e bibliografici d’interesse comune, ma che siano nella pertinenza e competenza, o anche nella proprietà, delle Chiese locali. L’impresa e l’industria turistica (soprattutto se lo Stato e le Regioni supporteranno l’autoimprenditoria e non si limiteranno a sostenere agenzie piuttosto che lavoratori finali) possono creare molti posti, sia di tirocini assistiti che di lavoro giovanile, purché  entrino in sinergia regionale (consorzi, incubatori di rete), facendoli accedere a  finanziamenti nazionali, comunitari e internazionali a seguito di progettazione coordinata (non senza un decentramento della stessa fase contrattualistica, che andrebbe almeno regionalizzata)». 3) «Valorizzare agricoltura e natura, di cui le terre calabre e meridionali, sono atavicamente ricche. Però ci vuole una “cabina di regia” anche ecclesiale, soprattutto da parte di uffici e servizi pastorali degli Istituti sostentamento clero, della cultura, del tempo libero, dell’imprenditoria giovanile. Uno storico catanzarese ha detto che natura e cultura hanno diviso i calabresi tra di loro e con il resto del mondo: ora dobbiamo fare in modo che natura e cultura siano gli strumenti per ridare una nuova prospettiva comune e un ponte tra Calabria e resto del mondo. E’ qui che potrebbe sperimentarsi una azione esemplare, riportando nella disponibilità delle cooperative giovanili tutte, ma proprio tutte, le terre confiscate ai mafiosi. Cosa fino ad ora più semplice a dirsi che a farsi perché non è accompagnata da forme di presidio territoriale efficaci per evitare la reazione mafiosa, che spesso si traduce in taglio di alberi, in distruzione di impianti, in varie forme di intimidazione. Ma purtroppo è ancora mezzanotte in una società che non riesce a percorrere sino in fondo la strada delle strategie creative per coloro che sono il futuro demografico e previdenziale della nostra società. Ma domani, a mezzogiorno e nel mezzogiorno, il tempo, per i giovani, potrebbe finalmente cambiare. Ed i giovani, come diceva La Pira, sono come le rondini: vanno verso la primavera».
Dopo aver sviluppato questi tre punti, con queste parole Mons. Bertolone ha concluso il suo intervento richiamando il pensiero del Beato Pino Puglisi: «Nella prospettiva e nell’attesa di questa primavera, mi piace citare un pensiero di 3P: “In fondo le parole a che servono se non a dire bene o a dire male? Benedire o maledire. Solo a questo servono le parole. E ancora una volta si tratta di sceglierne cosa farne – senza le parole le cose quasi non esistono”. Per questo bisogna averne cura, perché ogni parola crea quello che dice, che lo vogliamo o no. E’ ciò che esce da noi che crea la vita o la morte. Anche quando parliamo del meridione, dei suoi uomini e delle sue donne. Dovremmo continuare a creare vita, a benedire la vita, a innamorarci di parole che sanno di buono, che accarezzano e illuminano, come l’alba che lentamente e dolcemente vince le tenebre. Grazie!».
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