Salvatore Cannatà. Alla scoperta della Calabria. Viaggio nelle realtà calabresi 1700 -1900. Salvatore Cannatà. Alla scoperta della Calabria. Viaggio nelle realtà calabresi 1700 -1900.

Salvatore Cannatà. Alla scoperta della Calabria. Viaggio nelle realtà calabresi 1700 -1900. Prima parte.

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Raccontare, descrivere la Calabria nei suoi compositi, differenti profili geografico, paesaggistico, storico-socio-culturale è interessante per chi ha voglia di approcciare con taluni temi. Lo è ancor di più se spinti dal desiderio di comprendere gli eventi storici interrogando il passato di una Terra piena di contrasti e ricca di sfaccettature. Scoprire è la parola chiave. L’input ce lo offre la cosiddetta “Letteratura itinerante che respira e narra di luoghi”. Saranno proprio i viaggiatori del passato, in modo particolare gli stranieri (ma non solo) a stupirci raccontandoci delle Terre di Calabria. I loro diari, resoconti, disegni, cronache, mappe, dipinti consentiranno di meglio leggere le realtà dei territori e degli ambienti naturali oltre che sociali, culturali, economici del Sud. Insomma, respirare l’atmosfera del passato: assaporare le bellezze paesaggistiche; scoprire i contrasti di una natura selvaggia e benevola; prendere atto delle afflizioni di una Terra martoriata e avvertire allo stesso tempo l’umanità, la dignità, l’affabilità delle popolazioni calabresi, sarà tutt’ uno.

Sappiamo che l’Italia, sin dalla seconda metà del 500, fu meta ambita di numerosi artisti, filosofi, scienziati che percorsero la penisola seguendo itinerari consolidati, secondo tappe obbligate. Nel Settecento, però, quegli itinerari non più esaustivi iniziarono a subire modifiche: i touristes intrapresero altri percorsi e gradualmente si spinsero verso il Mezzogiorno e particolarmente a Napoli e in Sicilia. Partiremo da quelli che furono definiti “I Grand Tour” (1), viaggi di visitatori stranieri lungo la penisola alla scoperta del Sud e della Calabria. A quell’epoca, molti esploratori intenzionalmente trascuravano la Calabria imbarcandosi da Napoli alla volta della Sicilia. Già molto prima dell’800, i viaggiatori, intenzionati a esplorare il Mezzogiorno, preferivano non avventurarsi per le malsane e insicure strade della Calabria. Nei loro diari nessuna informazione sulla Regione e tanto meno su località, ambienti, alberghi, osterie; meno che meno notizie su la vita della gente di quei luoghi, costumi, strade, monumenti. Insomma, quei mondi calabresi – che si apriranno negli anni a venire ad altri viaggiatori affascinati da tali realtà – venivano volutamente ignorati. Rari quindi i riferimenti a opere d’arte, chiese, palazzi antichi per i quali bisognerà aspettare la diffusione della Guida d’Italia del T.C. I. (2).

Ma nonostante la Calabria nel XVIII e fino al XIX sec. fosse vista come una regione selvaggia: “infestata da epidemie e briganti” (3); non mancheranno presenze di viaggiatori inglesi che “spinti dalla passione romantica per l’Italia e dall’interesse, originato dalle descrizioni di viaggio di John Chetwode Eustace e Joseph Forsyth”, pubblicate a Londra nel 1813, (4) – si avventureranno per descrivere intensamente le Terre calabresi. In questo scenario ricco di opere e di testimonianze, si inserisce il Resoconto di viaggio del pittore inglese Arthur John Strutt del 1842 (5), che dedica alla Calabria ben 156 pagine, nelle quali descrive – attraverso la corrispondenza inviata alla sua famiglia – il territorio in maniera del tutto suggestiva.  Il suo obiettivo: visitare le parti più “selvagge della Calabria; raccogliere le sue impressioni; analizzare costumi; descrivere i paesaggi rappresentati con disegni grazie ai quali dà volto alle sue descrizioni”.

Sulla stessa linea descrittivo-rappresentativa è il Diario di viaggio in Calabria e nel Regno di Napoli del 1852 di un altro intellettuale inglese, Edward Lear. Sono descrizioni lunghe, ma accompagnate da lessico semplice che bene evidenzia l’ammirazione per le meraviglie e bellezze delle della Calabria di cui è fortemente attratto. È la descrizione del paesaggio, quella tipica del diario di viaggio, dove coesiste il “viaggiatore pittoresco e lo scientifico-naturalista”, tanto che, a proposito del nome Calabria, si legge: << Questo nome così armonioso, ha in sé qualche cosa di molto romantico. Nessunaltra regione del napoletano racchiude la promessa di tante sorprendenti bellezze stimolando, in tal senso, il desiderio di conoscerle prima ancora di averci messo piede>> << Quali visioni possono suscitare il Molise, il Principato, la Terra di Lavoro o Capitanata? Ma la Calabria! Appena viene pronunciato questo nome ecco che un mondo nuovo si erge davanti ai nostri occhi, aprendo spaziosi orizzonti alla fantasia: torrenti, fortezze, scenari di montagna a strapiombo su spiagge candide e levigate, grotte, briganti, cappelli a punta >>. 25 luglio 1847, Calabria! (6)

E’ evidente l’entusiasmo per i viaggi in queste terre: grande è l’incolmabile curiosità e la passione traboccante per la scoperta si da portare il viaggiatore” (…) a “circondarsi di quel fascino prepotente di una Terra selvaggia”. Sarà il grande bisogno di scoprire che farà registrare in Calabria presenze di importanti viaggiatori stranieri di varia nazionalità; costoro mossi dalla “passione per l’Italia affrontarono ogni sorta di pericolo pur di esplorare terre fino ad allora sconosciute”. Ma ai viaggiatori veri e propri si unirà una folta schiera di scopritori: “viaggiatori fortuiti” che al seguito di truppe e battaglioni, mossi dalla curiosità per lenuove terre” lasciarono memoria delle loro impressioni su costumi e modi di vita delle genti con cui si trovarono a contatto.

È il caso del chirurgo Horace De Rilliet, al seguito di un reggimento di soldati svizzeri mercenari, arruolati dal re di Napoli per provvedere alla sicurezza del luogo in vista di una sua probabile visita. L’immagine che costui dà delle terre esplorate come soldato risulta negativa maggiormente quando descrive da un lato la “carenza di viveri e le pessime condizioni igienico-sanitarie”, dall’altro “l’elevato pericolo nel percorrere le strade”. Per contro annota che “il popolo calabrese è estremamente ospitale e si mette completamente a disposizione per soddisfare le richieste dei viaggiatori” (7).

Lo stesso dicasi di Auguste de Rivarol, aiutante maggiore del reggimento francese, arruolatosi nel 1817 per la repressione del brigantaggio. L’autore, nella sua opera, parla di luoghi “molto impervi e per niente stimolanti”, ma osserva che ciò che spinge ad avventurarsi: << è la curiosità di esplorare terre sconosciute, delle quali si hanno notizie molto frammentarie>>. Il capitolo più interessante è quello dove vengono descritti costumi e carattere degli abitanti della Regione, considerati i «selvaggi d’Europa», apatici e ignoranti, con rare eccezioni>> (8).

Il Baedeker, altro visitatore, seppure critico e sdegnoso, nella sua guida del 1875, afferma: “nonostante la Calabria risulti ostile, selvaggia e insalubre, in condizioni igienico- economiche migliori avrebbe attratto un gran numero di turisti. (9) .

Vediamo però come già agli inizi del XX sec. si registra un’autentica frattura nella letteratura e nella diaristica di viaggio. È il 1901 quando George Gissing, appassionato lettore di classici, pubblica By the Ionian sea (10). È con tale opera che si dà particolare avvio a una nuova letteratura di viaggio diversa da quella del Grand Tour e dei Viaggiatori occasionali.

La Calabria risulterà si inospitale, con pessime condizioni atmosferiche, insalubre, disseminata di zanzare, appestata dalla malaria, eppure il visitatore Gissing vivrà il suo viaggio con profonda ammirazione per il passato e grande attenzione per la gente del luogo e per i loro costumi. (11)

Grande spirito d’osservazione e smisurata attenzione li ritroviamo anche in Norman Douglas nel suo “Old Calabria pubblicato nel 1915”. (12). L’autore, attento e molto curioso, non trascura nulla: “descrive tutto quello che riesce a scorgere lasciandosi affascinare dalle rovine, dal folklore, dai paesaggi descritti con grande efficacia”. La sua opera, ricca di dotte citazioni e riferimenti letterari, non manca di interessanti considerazioni sulle “condizioni sociali ed economiche della Calabria dei primi del XX sec. tanto da risultare tra le opere più belle mai scritte”.

“Leggere e avvertire l’animo con cui l’autore descrive il panorama” dal suo alloggio a Rossano, desta enorme fascino: «Giù, giù lungo un accavallarsi di declivi di lucente terra rossastra, coperta di olivi e di cisto, lo sguardo arriva al mar Ionio, scintillante di sfumature turchese cupo e incorniciato da una striscia brillante di bianca rena. A sinistra, le acque si addentrano con nobile curva: là è la pianura di Sibari […] Nitidamente stagliate alla luce del mattino, queste stupende montagne sembrano fondersi, al tramonto, in una nebbia ametista. Una visione di pace». (13). 

“Non meno entusiasta risulta la lettura e l’accento” di Maurice Maeterlinck quando con “Viaggio in Sicilia e in Calabria, 1924”, scopre in realtà che le città, i monumenti, i ruderi del passato e le opere d’arte non sono idilliaci come s’aspettava. A stupirlo, sono invece i << paesaggi naturali di uno «splendore incomparabile» (14).

Il Sud d’Italia tra schizzi e appunti di viaggio

In realtà, è utile precisare come già nel 1897 Luigi Vittorio Bertarelli, industriale milanese, tra i fondatori del Touring Club Ciclistico Italiano – dopo aver percorso in bici, in soli cinque giorni, le strade calabresi da Reggio fino ad Eboli – ben s’introduce nel panorama della letteratura itinerante con una visione e prospettiva più aderenti alla realtà e al contesto. Il suo obiettivo: visitare le Terre di Calabria nell’ottica del viaggiatore moderno. Ciò rappresentò un importante ed effettivo contributo per la stesura della prima guida turistica italiana della Calabria. Le guide – che fino a quel momento davano una visione del Meridione molto parziale – s’arricchirono di nuovi dati: il viaggio in Calabria di Bertarelli: “mirò sicuramente alla conoscenza del rilievo scientifico del territorio e delle vie di comunicazione”. Fu la prima volta che si diede precisa visione del dato tecnico e geografico: “pendenze e dislivelli vengono rappresentati in modo analitico”. A ciò si aggiunse una chiara lettura dell’ambiente umano: <<la diffidenza e al contempo la gentilezza dei suoi abitanti e le inutili paure riguardo il brigantaggio inesistente>> (15).

 

Siamo di fronte ad uno dei primi tentativi riusciti di tratteggiare gli aspetti fisici, demografici e umani della Calabria. Ecco come esordisce nella sua opera: << Lungo la spiaggia … (di Villa S. Giovanni) … innumerevoli imbarcazioni da pesca e di piccolo cabotaggio, reti, argani per trarre le barche in secco, piccoli cantieri per calafati, lavanderie, qualche rudimentale stabilimento di bagni, casotti di finanzieri, frotte di ragazzi e ragazze a gambe nude che fanno il chiasso, pescano alla lenza e raccolgono frutti di mare: una spiaggia formicolante di vita, come quella ligure >>. E ancora << giardini di aranci cedri, bergamotti e limoni, lungo un mare cristallino, rigato da un filo di spuma. La strada polverosa era costeggiata di rovi, gaggie e ginestre in fiore>>. … Si disseta << nascosta in un boschetto una fonte purissima … sorseggiando l’acqua tra ninfee e fiori di loto. … «A Scilla le donne sono – mi dissero – famose per bellezza. Ma puzzano tanto che mi parvero tutte brutte>>. <<Il vino è di fuoco>> (16)

L. V. Bertarelli, Planimetrie e profili ciclistici da Gioia Tauro a Pizzo Calabro, 1898

È evidente fin qui quanto il Mezzogiorno fosse meta ambita, ma anche quanto scarsa conoscenza vi fosse del Sud d’Italia. Di fatto, gli itinerari percorsi nell’Ottocento dai viaggiatori stranieri, diretti in Meridione, escludevano volutamente la Calabria: <<dopo aver visitato Napoli la maggior parte di loro s’imbarcava per raggiungere la Sicilia, considerando pericoloso addentrarsi nelle Calabrie, sia per la presenza dei briganti sia per la scomodità che il viaggio avrebbe comportato. I pochi più temerari, invece, andavano coraggiosamente alla scoperta di una terra misteriosa e ancora selvaggia >> (17)

A catalizzare ulteriormente l’interesse per la Calabria fu anche il devastante sisma del 1783, che colpì la parte più meridionale della Regione. Detto anche terremoto di Reggio e Messina, con esso si indica l’intenso sciame sismico che colpì il tratto della costa tirrenica calabre-se, l’area pre-aspromontana e quella dello stretto con Reggio e Messina, culminando con 5 forti scosse tra il 5 febbraio e il 28 marzo 1783. “Fu la più grande catastrofe che colpì l’Italia meridionale nel sec. XVIII.”. “La città di Reggio fu gravemente danneggiata; i maremoti che si susseguirono provocarono ulteriori gravissimi disastri”. La violenta portata del sisma ebbe effetti duraturi sia a livello politico: venne istituita la Cassa Sacra, che ebbe tuttavia un effetto contrario a quello desiderato aumentando le proprietà fondiarie dei nobili, che s’accaparrarono le terre ecclesiastiche messe all’incanto per fare cassa; sia a livello economico e sociale: si realizzò il primo Regolamento anti-sismico d’Europa. << Qualcuno, condizionato dall’economicismo dei nostri tempi, può pensare che i terremoti abbiano tolto alla Calabria una parte delle sue attrattive turistiche >>, scrive Domenico Ficarra. << In effetti, il danno è ben maggiore se la progressiva scomparsa dei nostri monumenti contribuisce alla perdita della memoria storica e, quindi, della nostra identità regionale: se cioè una vanificazione fisica produce vanificazione psicologica e spirituale (…). Ogni popolo è il risultato del suo processo storico, per cui perdere il rapporto con le proprie radici impedisce di conoscere se stessi, di autodefinirsi in rapporto al tempo ed allo spazio, può produrre cioè una crisi esistenziale >>. (18).

Giovanni Vivenzio, all’epoca direttore degli ospedali militari del Regno, dopo aver visitato la Calabria devastata da scosse e maremoti, nel 1788 scriveva: <<In una parola, nel termine di due minuti primi, che durò questo primo orribile terremoto, che formerà epoca nell’Istoria d’Italia, cagionò la quasi totale distruzione dell’ulteriore Calabria: distruzione, che fu indi maggiormente accresciuta dal fuoco, che si accese ne’ diroccati paesi, e che per due giorni in alcuni, per tre in altri continuamente vi si mantenne. La prima scossa da sotto in su, fu sì subitanea, che sembrò uno scoppio di sotterranea mina, e (…) non si vide che fumo… >> (19). W. Hamilton, (inviato di S.M. Britannica presso il Re delle Due Sicilie), dopo aver visitato le località del sisma, scriveva nella sua Relazione dell’ultimo terremoto delle Calabrie e della Sicilia, 1783, << la somma totale dei morti (…) per cagione dei soli terremoti, secondo le relazioni inviate all’Uffizio della Segreteria di Stato di Napoli, ascende a 32.367: io però ho buone ragioni per credere, che (…) il numero dei morti sia considerevolmente maggiore, e che (…) si possano computare, a mio credere, in 40.000 morti (…). Questo Governo è instancabile nei suoi sforzi per riparare non solo ai mali attuali ma ancora per prevenire tutti quelli che possono esserne una conseguenza >> (20).

Anche il Colletta, patriota e storico, nel saggio Storia del Reame di Napoli 1734-1825, scriveva: << Quando nella estate, per fetore de’ cadaveri ed acque stagnanti, (…), penurie, dolori, sofferenze, si manifestò ed estese nelle Calabrie il morbo epidemico, il quale aggiunse morti alle morti, e travagli ai travagli di quel popolo (…). Tanto miseramente procedè quell’anno; ed al cominciare del 1784, fermata la terra, spenta l’epidemia, scordati i mali o gli animi rassegnati alle sventure, si volse indietro il pensiero a misurare con freddo calcolo i patiti disastri. In dieci mesi precipitarono duecento tra città e villaggi, trapassarono di molte specie di morte sessantamila calabresi; e in quanto a danni, non bastando l’arte o l’ingegno a sommarli, si dissero meritatamente incalcolabili: furono al giusto i nati, non pochi e maravigliosi i matrimoni, i delitti molti ed atroci; i travagli, le lacrime, infiniti >>. (21). Lo scenario di devastazione e di morte, come si può immaginare, durò a lungo e suscitò grandissima impressione anche nei viaggiatori stranieri che in quegli anni visitarono l’Italia.

Déodat de Dolomieu, geologo francese, giunto in Calabria per studiare gli effetti disastrosi del sisma: racconta << Avevo veduto Reggio, Nicotera, Tropea (…) ma quando di sopra un’eminenza vidi Polistena, quando contemplai i mucchi di pietra che non han più alcuna forma, né possono dare un’idea di ciò che era il luogo (…) provai un sentimento di terrore, di pietà, di ribrezzo, e per alcuni momenti le mie facoltà restarono sospese.(…) La prima scossa durò due minuti ed ebbe come epicentro una zona a sud di Polistena >> (22). L’INGV di Bologna, che ha stimato la magnitudo del primo evento sismico in 7.1 (…) dichiara: “uno dei terremoti più forti della storia sismologica italiana”. (…) “Fra il 5 e il 7 febbraio si contarono 949 scosse “(…); ne seguì, “alle h 20 dello stesso giorno, una nuova di magnitudo 6.7 con epicentro nell’attuale comune di Soriano Calabro”. Nel mese successivo, si susseguirono scosse di intensità sempre decrescente, eccetto quelle del 1º e 28 marzo; quest’ultima di magnitudo 7.0 con epicentro fra i comuni di Borgia, Girifalco. << Il numero dei morti si stimò intorno alle 50.00 persone; i danni << incalcolabili>> (23). Dagli archivi dell’epoca, si apprende che circa 180 centri abitati risultarono distrutti totalmente o quasi; la vita politico-economica e militare del Regno di Napoli e di Sicilia, causa le gravissime distruzioni che interessarono centri urbani importanti come Reggio, Catanzaro, Monteleone, Messina e tante altre località, s’arrestò.

Goethe, a quattro anni di distanza dall’evento, durante il suo Viaggio in Italia, giunto a Messiina, raccontò di una “città ancora in rovina, con la popolazione stremata e costretta a vivere nelle baracche”. Secondo stime ufficiali, nella Calabria meridionale su una popolazione di 440.000 ab. i morti s’attestarono sui 30.000, ma più probabilmente si tratterebbe di circa 50.000 vittime. Nel Messinese le vittime furono circa 630. La città di Palmi fu completamente rasa al suolo e venne “ricostruita con un nuovo piano “regolatore. In alcuni paesi costieri come Scilla il tasso di mortalità raggiunse il 70% (…). A Polistena, paese pre-aspromontano che si affaccia sulla Piana << su una popolazione di circa 4.600 abitanti, ne perirono 2.261 >>. (24). Insomma, << il quadro complessivo dei danni è di una gravità straordinaria: agli effetti distruttivi sugli edifici si accompagnarono estesi sconvolgimenti dei suoli e del sistema idrogeologico >> (…). << Le scosse provocarono enormi frane che ostruendo il corso dei torrenti diedero origine a numerose paludi. Solo tra Sinopoli e Seminara se ne formarono 52, mentre tra il 1783 e il 1787 si contarono 215 laghi in tutto il territorio interessato dal sisma >> (…). Si trattò di “tipici fenomeni di liquefazione delle sabbie, conseguenze dei terremoti (…). La valle del Mesima subì come conseguenza del sisma un abbassamento che produsse “conche circolari piene di acqua; “la compressione delle acque sotterranee provocò il mutare del corso dei fiumi; enormi frane ostruirono il corso dei torrenti dando origine a numerose paludi (25). Alcune montagne si spaccarono. Il Mesima cambiò il suo naturale corso per la comparsa di centinaia di “vulcanelli” dovuti al fenomeno della liquefazione delle sabbie.

Formazione di crateri di depositi sabbiosi nella Piana di gioia Tauro

Grazie al Corso appuriamo che Nicotera << oltre ai danni del terremoto, << subì anche le depredazioni dei funzionari regi tanto che la nostra Cattedrale perdè i candelabri di argento con le teche e reliquiari dello stesso metallo mentre la Chiesa di San Francesco perdè i sacri paramenti, i candelabri di argento con le teche anch’esse d’argento, e la chiesa di S. Maria delle Grazie perdè una ricchezza immensa fatta di quadri, vasi preziosi, arredi sacri. (…). Persino la biblioteca venne depredata di codici preziosi che furono trafugati e venduti. I conventi nicoteresi dei Celestini e dei Francescani divennero inabitabili>>.(26). G. Ingegnieri, nel suo libro Motta Filocastro registra oltre ai danni materiali anche il numero di vittime censite in diverse località delle attuali province di Vibo Valentia e Reggio C.:<< Nicotera ebbe 14 morti e danni per 70000 ducati; Limbadi 25 morti e danni per 60000 ducati; Motta Filocastro 4 morti e danni per 5000 ducati;

Mandaradoni 3 morti e danni per 30000 ducati ; Caroni 9 morti e danni per 60000 ducati; San Nicola de Legistis 10 morti e danni per 50000 ducati; San Calogero 22 morti e danni per 80000 ducati; Mileto (50 morti e danni per 200000 ducati; Tropea 20 morti e 600000 ducati; Monteleone 14 morti e danni per 150000 ducati; Soriano 171 morti e danni per 80000 ducati; Briatico 60 morti e danni per 150000 ducati; Candidoni 4 morti e danni per 150000 ducati; Dasà (55 morti e danni per 150000 ducati; Dinami (35 morti e danni per 70000 ducati); Polistena 2261 morti e danni per 500000 ducati; Oppido Mamertina 1198 morti e danni per 400000 ducati; Bagnara calabra 3331 morti e danni per 600000 ducati; Cinquefrondi 1700 morti e danni per 400000 ducati; Palmi 999 morti e danni per 500000 ducati; Scilla 1450 morti e danni per 400000 ducati; Grotteria 118 morti e danni per 150000 ducati; Cosoleto (178 morti e danni per 70000 ducati); Seminara (1370 morti e danni per 900000 ducati); Cittanova 2017 morti e danni per 500000 ducati; Terranova 1458 morti e danni per 500000 ducati >>.(27). Centri rasi al suolo come Borrello, Oppido Mamertina, Mileto (capitale normanna) non furono più ricostruiti. I danni maggiori, però, si registrarono sulla costa tirrenica, nel tratto compreso tra Scilla e Bagnara, colpite prima dal sisma e poi dai maremoti. Il “disordine idraulico”, cosi definito per effetto degli sconvolgimenti geologici e le condizioni igieniche del periodo, favorì in maniera persistente l’epidemia di malaria”.

 

Veduta di Nicotera dopo il terremoto vista dalla Chiesa De Paolotti

I danni del terremoto furono così ingenti che per trovare fondi il Governo Borbonico decise l’esproprio dei beni ecclesiastici della Calabria Ulteriore, istituendo la Cassa Sacra. Conseguentemente, il 15 febbraio 1783 Re di Napoli, Ferdinando IV di Borbone, nominò Vicario generale delle Calabrie, il conte F. Pignatelli che ricevette 100.000 ducati per i bisogni immediati delle popolazioni e per seguire da vicino la lunga fase della ricostruzione << con autorità e facoltà ut alter ego sopra tutti li présidi, tribunali, baroni, corti regie e baronali e qualsí siano altri uffiziali politici di qualunque ramo qualità e carattere, come altresì sopra tutta la truppa tanto regolare quanto di milizie>>. (28). Il Pignatelli stabilì il proprio quartier generale a Monteleone e vi soggiornò fino al 10 settembre 1787. J. Heinrich Bartels, parlando di Pizzo, dopo che la visitò nel 1787, scrisse: << Un’altra grande disgrazia causata dal terremoto fu la precarietà delle baracche, dove erano esposti all’umidità, al freddo; la temperatura era terribilmente rigida sia per gli effetti collaterali del terremoto sia per il freddo invernale; questa situazione uccise molti uomini e quasi un terzo della popolazione cadde sotto la falce della morte (…). Ebbi un senso di tristezza quando al mio arrivo un gruppo di abitanti si riunì intorno a me (…). Esclamavano quasi in coro:” abbiamo perso la nostra gioventù migliore. Poi un vecchio tremante pianse di nuovo i suoi tre figli che la morte gli aveva sottratto; e uno piangeva il fratello perduto, l’altro l’amico scomparso. Più di 1.500 persone furono travolte (…) erano giovani tra i venti e i maggior parte trent’anni”.

Scilla

Da Seminara: “Più mi addentro nel paese, più aumentano gli orrori della catastrofe. La Calabria si è profondamente inabissata, e qui regna lo spettro della distruzione che supera ogni immaginazione e ci vorranno molti anni prima che la regione si risollevi dai danni causati da questa terribile calamità>>. (29). Secondo alcuni studi emerge che il terremoto rese più rozzi i costumi; esasperò gli animi e favorì le azioni criminali per via della terribile situazione in cui il popolo fu costretto a vivere dopo il sisma. Lo storico A. Placanica, nel suo volume Storia della Calabria dall’antichità ai giorni nostri, scriveva: << quel che stupiva i forestieri, i funzionari, gli alti burocrati, i viaggiatori era la gran-de, spesso giustificata, diffusione della violenza: lo stato, la giustizia, il fisco erano quasi in gara con la feudalità nell’alimentare abusi d’ogni sorta: se gli omicidi aumentavano – e aumentavano ancor di più all’indomani del sisma e delle operazioni della Cassa – è anche vero che spesso gli uomini si “gettavano al-la campagna per non avere ormai più nulla da perdere”; gli episodi di violenza, di corruzione, di abusi, di vendette erano tanti, e anche tali, da costruire un quadro della Calabria e dei calabresi estremamente in-quietante.>>. Si trattava, secondo lo studioso, “di antichi nodi irrisolti” tra i quali primeggiava l’eccezionale disparità nella distribuzione delle ricchezze >>. (30). Anche l’intero aspetto del territorio fu travolto nei tracciati e nei sistemi di viabilità, nella sua orografia e caratteristiche idrogeologiche. In alcune zone si inaridirono le antiche fonti e ne sorsero delle nuove; i fiumi abbandonarono il loro letto; altri produssero crepacci, voragini tanto che “l’acqua usciva da conche circolari favorendo, a causa delle scarse norme igieniche, la malaria”. Il Colletta, nel vol. Storia del Reame di Napoli,1831, scriveva << nulla rimase delle antiche forme: la Calabria venne del tutto mutata dalla furia del terremoto. (…) .

Marina di Tropea
Reggio Calabria

L’opera di distruzione del sisma fu molto vasta e si legò in stretto rapporto con la care-stia (…); il lavoro completamente compromesso (…) così come le case coloniche, i granai, i mulini, i frantoi (…). Non occorre molta fantasia per comprendere di che durata dovesse essere la paralisi della vita produttiva, in una società irrimediabilmente già povera. Alla miseria si legò la paura che perdurò per molti anni a causa delle repliche che continuarono a ripetersi. (…). La gente in cui era insito questo sentimento riusciva a precedere una scossa con sintomi di spossatezza e sensazioni atipiche >>. (31). Secondo altre fonti storiche del tempo Sarconi (1784) e Vivenzio (1788) fu un “autentico cataclisma accompagnato da fortissima mortalità “e se “Reggio, di morti, ne aveva contato 119, alcuni paesi della Piana avevano subìto una “vera e propria falcidia. Così Terranova con il 77%, Santa Cristina il 54% e così altri centri di quell’area, con percentuali dal 40 al 50%. Bagnara tra le più colpite, registrò il 59% di morti anche a causa del maremoto che accentuò la mortalità”. Lo stesso dicasi per Scilla che ebbe 150 vittime con la scossa del 5 febbraio ma che aumentarono a 3.181 col maremoto della notte seguente: << gli scampati avevano cercato riparo soprattutto tra Marina Grande e Chianalea, e qui li aveva sorpresi e decimati il maremoto conseguente ad una nuova scossa >> (32). W. Hamilton, giunto a Napoli nel 1764 come rappresentante di Giorgio III Re d’Inghilterra, in un suo scritto pubblicato dalla Stamperia della Rovere di Firenze, dopo che ebbe visitato i luoghi del disastro, nel maggio del 1783, scriveva “ho buone ragioni per credere che, compresivi gli estranei, il numero dei morti sia considerevolmente maggiore di 32.000, e che senza esagerazione si possano computare, a mio credere, in 40.000 morti”. Quanto agli effetti del sisma prodotti sulla popolazione, vittima del terremoto, è ancora il Placanica a fornirci un chiaro quadro: << crebbe nella gente la superstizione e si affinò un legame speciale con il Divino. Aumentarono le processioni e le benedizioni al fine di ingraziarsi Dio affinché li preservasse da un nuovo cataclisma. Ma la cosa più triste fu per i sopravvissuti (…) il credere di essere stati prescelti quali scampati alla morte sicura. All’opera di distruzione si contrappose quella di costruzione, senza comunque seguire norme antisismiche, scelta disastrosa per i futuri sismi. Nel viaggio di perlustrazione si notò un paese cambiato sia nella sua struttura geologica che in quella sociale; ovunque si poteva notare lo spettacolo commovente della gente di diverso ceto sociale >>. (33).

L’illuminista De Filippis, allievo di Genovesi, scriveva: << i ricchi e gli agiati, oltre ad aver visto i loro palazzi crollare furono costretti a ricorrere ai contadini che in un primo momento furono da loro ves-sati: chiedevano ricovero e qualche cencio per vestirsi >>. (34). F. Leopoldo von Stolberg, ambascia-tore di Danimarca in Italia, dopo aver visitato la Calabria nella primavera del 1792, ecco co-me la rappresentò <<ancora sconvolta dal terremoto, segnata dalla miseria secolare, corrosa dalla in giustizia e dal malgoverno.

Voragine presso Soriano

Un duro scontro con una realtà inaspettata >> (…). Da Catanzaro, << gli abitanti a cui è crollata la casa, e quelli che ne temono il crollo per scosse future, si sono costruiti delle piccole casette in un luogo alberato vicino alla vecchia città >> (…). A Monteleone, col << terremoto (…) crollò quasi tutta la città; ora è composta per la maggior parte di baracche in legno, ma anche di case in calce e mattoni con un’intelaiatura di travi. (…). Della nuova Oppido, costruita << a tre miglia dalla antica città, completamente crollata; più precisamente inghiottita da una voragine apertasi nella terra >>, (…) << il terremoto qui è stato terrificante in quanto le montagne, composte di terra argillosa compatta hanno fatto resistenza alla forza sotterranea che tiene il terreno unito. Abbiamo visto montagne spaccate in due dalla cima ai piedi, che hanno riempito vecchie valli e ne hanno create delle nuove>>. (…). << Alcuni torrenti vennero strappati al loro corso; dei terrapieni, formatisi con lo smottamento della terra, improvvisamente li hanno trasformati in laghi. Questi corsi d’acqua, ormai divisi dal corso originario, hanno provocato il ristagno delle acque, le cui esalazioni mefitiche contagiavano l’aria. (…) Ho visto molti di questi laghi (…). Il terremoto creò un effetto incredibilmente strano sugli organi umani, tale che nei due anni seguenti le donne non concepirono, oppure ebbero parti prematuri di nascituri morti. Quando generarono nuovamente, molti dei neonati morirono >>. (35). È giudizio comune che l’attività sismica mutò i tratti del territorio calabrese, soggetto a enormi frane in continuo movimento e spaccature lunghe e profonde; sottoposto ad avvallamenti e scorrimento a valle del terreno. Tutto ciò segnò profondamente la vita di moltissime comunità. Insomma, lo scenario di devastazione e di morte durò a lungo e suscitò moltissima impressione anche nei viaggiatori stranieri che in quel periodo erano soliti visitare la Penisola. Come riferisce, lo storico Bevilacqua: << Lo spazio e il suo uso erano dunque assai spesso condizionati, quando non dominati, dal territorio e dai suoi incontrollabili eventi (…)

Parghelia, bambina tratta in salvo

E così il tempo, la velocità dei trasporti, della circolazione delle merci, del denaro, degli scambi fra gli uomini, il tempo del mercato come delle idee aveva un ritmo scandito dalle possibilità materiali e tecniche consentite da quegli spazi >>. La catastrofe registrò –naturalmente- grande sconvolgimento sociale nell’intera comunità calabra: << D’un colpo la complessa normalità dei rapporti consolidati era spazzata via. L’organizzazione familiare, i rapporti di proprietà, le gerarchie sociali e ideologiche, le forme del diritto, le consuetudini mai discusse, i quadri più statici della mentalità collettiva, venivano inesorabilmente travolti>>(36).Parlando di crimini, lo Spiriti, nelle sue Riflessioni economico-politiche relative alle due province di Calabria del 1793, scrisse <<la loro atrocità induce sul principio certe impressioni di orrore né cuori umani, ma se quelle impressioni diventano continue s’incalliranno a poco a poco e cominceranno a guardare con indifferenza non solo ma con piacere ancora gli eccessi più detestabili. Gli uomini in queste circostanze perderanno la loro natura, che diverrà simile a quella de’ leoni, e degli tigri>>. (37). Secondo G. Brasacchio, l’indagine dell’autore, tesa a rilevare gli omicidi commessi nelle province calabresi, “offre dati agghiaccianti e tali da considerare la delinquenza un vero e proprio freno all’incremento demografico: nell’Udienza di Cosenza, nel decennio 1782-1792, risultano commessi ben 3.095 omicidi, con una media annua di 309; nella Calabria Ultra il numero sale nel decennio a 5.800, con una media di 580 all’anno. Ma se si tiene conto che una barriera di tenebre ed una enorme confusione occultano molti delitti, la media può essere fissata in circa mille omicidi all’anno” (38). C’è però chi ritiene non aderente tale giudizio sulla criminalità in Calabria. Uno di questi è il cosentino, studioso del Mezzogiorno, U. Caldarola; egli, più prudente, meno assertivo afferma << il fenomeno (criminale) ha certamente caratterizzato quell’epoca (…); ancora oggi, a distanza di oltre due secoli, gli omicidi continuano ad influire negativamente sullo sviluppo della Regione >>. (39).

E. Lear Reggio Calabria

Il violento sisma – che aveva portato distruzione e morte sulla costa tirrenica meridionale e nell’entroterra – colpì anche la città Nicotera, che assistette a perdite di vite umane e distruzione di edifici: il Monastero di S. Maria delle Grazie, la Cattedrale, il Porto, il Convento di S. Francesco,<< I frati Paolotti furono costretti a costruire nell’ampio spazio antistante (il convento) alcune baracche di legno, nelle quali dimorarono fino al 1790 >>. (…); il Monastero di S. Maria delle Grazie e la Cattedrale << perdettero tanto del loro patrimonio di arredi in argento e quadri di grande valore artistico>>. (…) << Nel 1785 il porto non esisteva più, molto probabilmente distrutto dal terremoto, poiché nei pressi passava la faglia Messina – Filadelfia >>. (…). << In quell’anno venne fatto il primo rilievo batimetrico del golfo di Gioia Tauro da parte della Marina Borbonica, che fu affidato al geodeta A. Rizzi Zannoni e all’idrografo Ten. di vascello comandante Salvatore Trama, inciso da Giuseppe Guerra. Un rilievo importante per studiare le variazioni della piattaforma continentale correlate ai terremoti e maremoti del 1783, che inabissarono due Km di costa >> (40). Negli anni del post sisma sappiamo che non si procedette al completamento della quarta torre del Castello dei Ruffo. Edward Lear, scrittore-illustratore inglese, ricordando la città Palmi – da lui visita dopo il Terremoto – narra che del centro della città, dove si trovava il Monastero di S Elia, (costruito molto prima dell’arrivo dei Normanni) non vi rimase traccia: << in quella zona, il sisma inghiottì numerose testimonianze di civiltà antiche>> (41). La cronaca dell’epoca narra anche della frenesia inconsueta degli animali: “l’unica cosa che lasciava presagire la grave sciagura (…); alle 13 e 15, le prime violente scosse fecero sussultare la terra (…); il mattino seguente un maremoto ingoiò le imbarcazioni che si trovavano sulla spiaggia. I danni furono incalcolabili; moltissime case s’incendiarono per via dei fuochi rimasti accesi tutta la notte. La popolazione fu decimata.>> (42). Dai dati dell’Archivio storico di Bagnara si riscontra l’enorme divario di mortalità fra uomini e donne (uomini m. 2883 – donne m. 384). Ciò si attribuì al fatto che molte di loro si trovavano nei paesi vicini a vendere, come d’abitudine, i prodotti locali: << La fortuna delle “bagnarote”, mogli di pescatori e contadini (…) consistette nell’essere dedite al commercio; per tale motivo si spostavano verso altri paesi della provincia intenti alla vendita dei prodotti agricoli e ittici, aiutate dai loro figli >>. (…) << All’alba partivano coi loro carichi in testa per raggiungere, dopo ore di cammino, i paesi viciniori. Tornavano in paese all’ora del tramonto (…). << Per evitare l’espandersi delle epidemie, i cadaveri furono cosparsi di pece ed adagiati in fosse comuni>> (43). Ma nonostante la gravissima situazione socio-economico-sanitaria nel 1787, un dispaccio del re Ferdinando istituiva le scuole normali a Crotone, Stalettì, Stilo, Roccella, Scilla, Bagnara, Parghelia, Pizzo e Nicastro. Al Liceo di Catanzaro fu inviato come direttore l’abate Gregorio Aracri, un calabrese di Stalettì amico di Pagano e Filangieri.

A Reggio fu istituito un Ginnasio con le cattedre di matematica e fisica, logica metafisica e diritto di natura, giurisprudenza civile e canonica, teologia e morale, ed annessa alla scuola venne creata una biblioteca che custodiva i libri raccolti nei monasteri soppressi. Nicotera — che già si giovava dell’esistenza del Seminario Diocesano; << fiorente istituto eretto già nel 1655 dal Vescovo E. Coppola>>; chiuso dopo molti anni di attività a seguito di incendio; << riaperto ad opera di Giancola Adilardi, Vicario capitolare succeduto al Vescovo Mons. Mansi nel 1713 >> — << il 7 marzo del 1866 vide l’istituzione del Ginnasio per interessamento del Sindaco Saverio Adilardi, convinto sostenitore>>. (44). Il Consiglio Comunale dell’epoca con atti deliberativi << dispose, a favore dell’apertura dell’Istituto, un primo ed un secondo finanziamento rispettivamente di lire 2.550 e lire 692,90 >>. (…) . Successivamente, “con deliberazione del Consiglio, vennero proposti al M.P.I. i nominativi del Direttore G. Foglia e dei professori del nascente Istituto che avviò la sua attività il 5 maggio 1867. (44) Nel 1806, si assiste alla << fine della feudalità, a seguito dell’ordinamento amministrati-vo disposto dai Francesi, subentrati ai Borbone. Nel 1811, << dopo l’emanazione di specifico decreto, Nicotera venne elevata a Sede di Governo ponendola a capo del Circondario costituito da Comerconi, Badia, Preitoni, Limbadi, S. Nicola, Caroni, Mandaradoni, Motta Filocastro, Joppolo, Coccorino >> (45). La questione della chiusura dei seminari nel territorio del nuovo Stato italiano ebbe ripercussioni persino in Parlamento tanto che il deputato neoguelfo, Cesare Can-tù, difese strenuamente le ragioni degli istituti religiosi indicando – a mo’ d’esempio – il Seminario di Nicotera presso il quale “taluni padri di famiglia facevano educare i loro figli con cento lire all’anno”. Anche i conservatori nicoteresi, “in numero di 210, sostennero la sua azione, sottoscrivendo petizione perché si respingesse il progetto di legge a favore della soppressione degli ordini religiosi”. (46).

Castello Ruffo Nicotera

Il Ginnasio, seppure tra alterne vicende e nonostante il disavanzo di bilancio, “che non permetteva di sopperire all’intero mantenimento”, resse e funzionò fino al 1877 con i soli finanzia-menti comunali; fino a quando, esattamente nello stesso anno, il nicoterese, medico chirurgo, Bruno Vinci, nominò erede del suo patrimonio il Comune di Nicotera <<per far servire le rendite a dotazione e mantenimento dell’Istituto >>. L’anno 1892 l’Amministrazione comunale << venne in possesso di un’eredità valutata in lire 111.152,43 e ne dispose la vendita all’asta. Ciò consentì al Ginnasio-Convitto di continuare l’attività educativa>>. (47). Il 30.11.1908 il Sindaco Pietro Corsi annunziò al Consiglio che l’Istituto era stato pareggiato ai Ginnasi governativi.

 

Parte Prima
Salvatore Cannatà

 

(1) G. Bertand, Il Grand Tour fenomeno sociale e culturale dall’Europa al Sud d’Italia, Na, Fondaz. 99
(2) L. Di Mauro, L’Italia e le guide turistiche dall’Unità ad oggi, in Storia d’Italia, Annali 5, Il Paesaggio, a cura di C. de Seta, Torino, Einaudi, 1982, p. 381

3) J. Chetwode Eustace, A Tour through Italy, London, 1813; J. Forsyth, Remarks on Antiquities, Arts and Letters during an Excursion in Italy in the Years 1802 and 1803, London, 1813
(4). J. Chetwode Eustace; J. Forsyth Op. cit
(5) A. J. Strutt, A Pedestrian Tour in Calabria & Sicily, Roma, Ente provinciale per il turismo di Catan-zaro, 1961; Cfr. A. J. Strutt, A piedi in Calabria, trad. e pref. di G. Puccio, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1970
(6) Mrs. Radcliffe e Salvator Rosa, Costumi, tradizioni, orrori e magnificenze … E. Lear, Diario di un viaggio a piedi, 1873

(7) H. De Rilliet, Tournée en Calabre. Colonna mobile in Calabria nell’anno 1852, trad. italiana di A. Formica, Reggio Calabria, Jason Editrice Srl., 1991.
(8) A. de Rivarol, Nota storica sulla Calabria, trad. e intr. di S. Napolitano, Bordighera, Managò Ed. ‘90
(9) K. Baedeker, Italie Septentrionale, 1873; K. Baedeker, Italie centrale et Rome, 1875; K. Baedeker, Italie meridionale et la Sicilie, 1872.
(10) G. Gissing, By the Ionian sea: notes of a ramble in Southern Italy, London, 1901; Cfr. G. Gissing, Sulla riva dello Jonio. Appunti di un viaggio nell’Italia Meridionale. trad. e intr. di Margherita Guidacci,
(11) G. Gissing, Op.cit.
(12) N. Douglas, Old Calabria, London, 1915; Cfr. N. Douglas, Vecchia Calabria, ed. it. FI Giunti Mar-tello, ‘67.

(13) N. Douglas, op-cit.
(14) M. Maeterlinck, In Sicilia e in Calabria, Catania, I Faraglioni, 1974
(15) L. V. Bertarelli, Diario di un cicloturista di fine 800. Da Reggio a Eboli, a cura di Cappelli, 1989

(16) L. V. Bertarelli, op. cit.

(17) Edward e Robert-Henry Cheney, La scoperta della Calabria terra misteriosa e selvaggia.

(18) Armando Orlando, Il Terremoto del 1783 in Calabria – la Calabria nel 700

(19) Armando Orlando, Op. cit.

(20) W. Hamilton, Relazione dell’ultimo terremoto delle Calabrie e della Sicilia, 1783 FI

(21) Pietro Colletta, Storia del Reame di Napoli 1734 -1825

(22) Déodat de Dolomieu, Memoria sopra i terremoti della Calabria 1783

(23) INGV BO -PI – Il grande Terremoto in Calabria: 5 febbraio 1783

(24) Le città della Calabria ricostruite dopo il terremoto del 1783

(25) Il Monitore napoletano, Op. cit.

(26) D. Corso, da Il grande Terremoto in Calabria 5 febbraio 1783

(27) G. Ingegneri, Motta Filocastro.

(28) Il Monitore napoletano, 1799 – Pubblicaz. period. della Repubblica napoletana.

(29) Armando Orlando, Op. cit.

(30) A. Placanica, Storia della Calabria dall’antichità ai giorni nostri.

(31) Pietro Colletta, Storia del reame di Napoli, 1831

(32) A. Orlando, La Calabria nel 700

(33) A. Placanica, Il filosofo e la catastrofe.

(34) V. De Filippis, De’ Terremoti della Calabria Ultra nel 1783 e 1798

(35) A. Orlando, “La Calabria letteraria”: Il terremoto del 1783

(36) P. Bevilacqua, Catastrofi, continuità, rotture nella storia del Mezzogiorno in Lab. Politico. (37) G. Spiriti Riflessioni economie politiche d’un cittadino relative alle prov. di Calabria, Na 1793

(38) G. Spiriti, Op. cit.

(39) A. Orlando, Riv. “La Calabria letteraria”: Il terremoto del 1783

(40) P. Barbalace, Nicotera dagli albori al XX sec.

(41) Edward Lear, I Diari di viaggi.

42) Augusto Placanica, L’Iliade funesta, storia del Terremoto, 1982
(43) Archivio storico di Bagnara Calabra.
(44) G. Pagano, La soppressione del Seminario diocesano di Nicotera e l’istituzione del Ginnasio-Convitto.

(45) G. Pagano, Op, cit.

(46) G. Pagano, Op.cit.

(47) G. Pagano, Op. cit.

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