ANASSILAOS: IL CALDO LUGLIO DEL 1964.

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Nel luglio del 1964 fu messo in atto in Italia un tentativo di colpo di stato avallato addirittura dall’allora Presidente della Repubblica Antonio Segni? E’ questo il quesito al quale si prova a rispondere il Prof. Antonino Romeo nel corso di un incontro promosso dall’Associazione Anassilaos, congiuntamente con Spazio Open, disponibile su You Tube e sul sito facebook del sodalizio. Per l’immaginario collettivo  ma anche per molte ricostruzioni storiografiche e giornalistiche, nel luglio 1964 un inquietante “tintinnar di sciabole” intervenne a condizionare le vicende politiche di quel momento. Questo sarebbe avvenuto con l’avallo dell’allora Presidente della Repubblica, Antonio Segni, in carica dal maggio 1962. A quelle vicende è dedicato il libro di Mario Segni, figlio di quel Presidente, Il colpo di Stato del 1964. La madre di tutte le fake news edito nelle scorse settimane da Rubettino con il quale l’autore difende la memoria del padre e ripercorre l’infuocato dibattito che tenne dietro a quell’oscura vicenda, a partire dalla denuncia di un vero e proprio colpo di Stato, avanzata il 10 maggio 1967 da Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi sull’Espresso.  A distanza di cinquantasette anni forse la cosa più utile è, però, chiedersi perché, pure in mancanza di prove certe ed inoppugnabili, si sia potuta radicare nell’opinione pubblica l’idea che il sistema democratico sia stato messo in pericolo proprio da coloro che per obbligo costituzionale avrebbero dovuto difenderlo. Fin dal 1954 in Italia si discuteva dell’incontro fra democristiani e socialisti. Il dibattito fu lungo ed aspro e in esso giocò un ruolo fondamentale la Chiesa italiana, schierata contro ogni collaborazione dei cattolici con i socialisti. A quell’incontro, comunque, finalmente si giunse nel 1962, dopo la drammatica esperienza del governo Tambroni, e grazie soprattutto alla abilità  di Moro, abile a portare l’intero Partito sulle sue posizioni. Per farlo, però, dovette concedere garanzie alla destra interna e, a tal fine, nel maggio 1962 Antonio Segni, esponente di spicco di quella destra, fu eletto Presidente della Repubblica, proprio per assicurare che l’apertura a sinistra avrebbe avuto precise delimitazioni. Il primo governo aperto ai socialisti fu quello “di programma” guidato da Fanfani, che riformò la scuola media, procedette alla nazionalizzazione dell’energia elettrica, introdusse la cedolare d’acconto sui titoli azionari e disegnò una riforma urbanistica che suscitò aspri contrasti in molti ambienti. Queste inquietudini influirono sul risultato delle elezioni politiche del 1963, che penalizzarono fortemente la DC, non premiarono i socialisti e favorirono il PCI a sinistra e il PLI a destra. Le ripercussioni furono immediate. Nella DC si bloccò la riforma urbanistica, e  questo indusse la sinistra socialista di Riccardo Lombardi a tirarsi fuori  da ogni progetto di riavviare la collaborazione con i democristiani. Per superare l’estate fu messo in piedi un governo “balneare”, affidato al Presidente della Camera Giovanni Leone, e solo nel dicembre successivo fu ricomposta l’alleanza di centro-sinistra, con il primo governo Moro. Poche settimane dopo, però, l’11 e il 12 gennaio 1964, molti esponenti della sinistra socialista uscirono dal PSI e fondarono il PSIUP, rendendo la navigazione di Moro estremamente difficoltosa. A complicare tutto si aggiunse una congiuntura economica sfavorevole, dinanzi alla quale il Ministro del Tesoro Emilio Colombo e il Governatore della Banca d’Italia Guido Carli proposero l’abbandono delle famose (e fumose) riforme di struttura e l’attivazione di precise misure deflattive. Il 26 giugno successivo il governo Moro si dimise e il giorno stesso il Comandante dell’Arma dei Carabinieri, il generale Giovanni De Lorenzo, informò i suoi diretti sottoposti dell’esistenza di un Piano Solo  per frenare possibili disordini e prendere il controllo della Prefetture, della RAI, di sedi di partiti e sindacati e per isolare in Sardegna molti esponenti politici considerati pericolosi. In quel contesto Segni condusse le sue consultazioni ricevendo più volte il Presidente del Senato, Cesare Merzagora, da sempre vicino agli ambienti confindustriali, ma allargando gli incontri anche a De Lorenzo, a Carli e al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito generale Aldo Rossi, mentre i vertici DC si riunivano, in una casa privata, con De Lorenzo e il capo della Polizia, Angelo Vicari. Era l’anticamera di un colpo di Stato? – si chiede Romeo?- Forse no da un punto di vista tecnico, ma si trattò di forti ed evidenti pressioni per depotenziare la carica riformista del nuovo governo e per ricondurlo ad una tranquilla e per tutti rasserenante routine.

 

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