La Principessa

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C’era una volta in una  piccola casa, nel cuore della Piana del Tauro, una principessa vestita con un bellissimo abito stile 700, di seta verde, impreziosito da bellissimi ricami.

Stava seduta su una poltrona antica , accanto a lei, c’era  un bellissimo principe, intento a  suonare un violino.

Suonava per lei, sicuramente per dichiararle il suo amore.

La principessa e il suo cavaliere, abitavano in quella casa, al centro del tavolo, dove un tempo la proprietaria della casetta, la signora Grazia Mamone,  con infinito amore aveva impastato la pasta , i biscotti , le zeppole e tante prelibatezze per i suoi fratelli e i suoi nipoti.

Vicino al tavolo c’era la  credenza con i bicchieri, nei cassetti c’erano le foto del fratello Domenico e le cartoline che lui  spediva dalla Toscana e dai luoghi in cui si recava in vacanza.

Nel ripiano di sotto c’era un servizio di piatti e dove, nel periodo della quaresima, i ripiani ospitavano i piatti con il grano che avrebbero addobbato l’altare della chiesa del piccolo borgo.

C’era il comò con le foto   dei  genitori della signora: Teresa e Vincenzo   e del suo amato fratello Luigi, a cui lei non faceva mai mancare mai  i fiori freschi.

A primavera la signora Grazia,  li raccoglieva insieme  alla sua nipotina, nei prati verdi  del  piccolo borgo.

Prati intrisi di suoni e profumi, ormai quasi scomparsi.

Profumi di un mondo incantato.

In quella  stanza c’era  l’armadio con lo specchio, dove  la signora conservava ancora il suo abito da sposa con minuscole perline, un piccolo frigorifero e un mobiletto con  la radio antica, dove avevano ascoltato l’annuncio che la Seconda Guerra Mondiale era finita, la macchina da cucire Singer, dove la signora, abilissima sarta  aveva lavorato tutta la vita.

Al muro c’era appeso un quadro che rappresentava Sant’Antonio da Padova, santo amato nella Piana del Tauro e venerato a Melicuccà.

Ma Torniamo alla principessa, seduta al tavolo accanto a lei, il pomeriggio la nipote  della signora Grazia  faceva i compiti, leggeva i libri che  il suo papà portava da Reggio Calabria e a volte incollava le figurine sull’album Panini.

Tra un rigo e una pagina,  la bambina guardava incantata la principessa e sognava che un giorno anche lei avrebbe indossato un abito così bello, magari per sposare un  meraviglioso principe.

La signora gestiva anche  una rivendita di Sali e Tabacchi,  e in paese per questo la  chiamavano

“a tabacchinera, insegnava  alla sua nipotina  le operazioni e attraverso le immagini, le insegnava a riconoscere i soldi: le 50 lire  con l’immagine del dio Vulcano e  le 100 lire  con la dea Minerva e un albero di ulivo.

La signora  conosceva  le fiabe popolari calabresi che  lei chiamava “i cunti” cioè i racconti che terminavano sempre con  la frase :“a favula e ditta cacciativi a barritta”.

D’inverno,  in quella piccola casa non mancava mai il braciere e dopo aver terminato i compiti,  la nipotina e la nonna sedevano attorno al braciere, insieme alle comari  e  a volte mangiavano le arance e i mandarini, lasciando cadere  le bucce nel braciere, e nell’aria si spandeva un profumo delizioso, magico, ormai scomparso.

Oggi non ci sono più i bracieri, un tempo la donna lo portava in dote insieme al corredo.

A proposito di corredo, la signora aveva preparato nel corso della sua vita  il corredo alle ragazze della Piana  del Tauro, lenzuola e tovaglie impreziositi dai suoi ricami.

Un giorno tra un “cunto” e un compito, la signora pensò che era giunto il momento  di insegnare alla nipotina l’ arte del ricamo e del cucito

Non l’avesse mai fato: il ricamo fu una tragedia perché i punti cadevano storti e poi  la nipotina non aveva pazienza  di mettere il filo nella “gugghia”, l’uncinetto  poi si rivelò un disastro totale, invece di un centrino venne fuori una specie di cappello, un cappello  per un extraterrestre .

La signora con tanto amore insisteva, lei aveva imparato a cucire piccolissima e diceva:” nci voli pacenza u signuri vozzi  iorna i faci u mundu”.( Ci vuole pazienza, Dio ha impiegato dei giorni per creare il mondo)

Il tempo passava e il momento del ricamo, per la piccola era diventato una tortura, a cui si sottraeva sempre di più, anche perché in compagnia della principessa era bellissimo leggere:  Gente in Aspromonte, Piccole Donne e Piccole Donne Crescono, Senza Famiglia e i  racconti dell’ ultimo libro che  il suo papà aveva portato, sempre da Reggio Calabria.

La signora diceva, tesi avvalorata dalla signora Maria Pellizzeri, che “ognunu nasci signatu”, ossia ogni persona quando arriva al mondo, arriva già con il suo destino scritto, destino a cui nessuno si può sottrarre,  anche Cristo non si era potuto sottrarre, era venuto al mondo con il destino di morire sulla croce e aveva detto.

La bambina pensava che il suo destino fosse quello di diventare principessa, una principessa amante dei libri.

Un giorno la piccola era intenta a fare un tema, assegnato dalla maestra Felicetta.

Scriveva felice , perchè quello era il compito che più amava fare, insieme alla studio della storia: gli Egizi in particolare e poi la straordinaria storia di Roma.

Arrivò  in quel momento comare Rosuzza che abita in una casetta in fondo alla ruga(via).

Una casetta, dove nella stanza da letto, sul comò c’era un soprammobile che sembrava un lampadario  d’argento, dono di un parente francese.

Comare Rosuzza si era sposata sette volte, era simpaticissima e si vantava che uno dei mariti le aveva regalo delle bellissime calze di seta, che nessuno possedeva.

Quel giorno comare Rosa non si decideva ad entrare, era rimasta immobile sulla porta,  poi  ad un tratto aveva esclamato: ”Cummari guardati a vostra niputi, trisoru comu teni a pinna! Cummari sapiti chi vi dicu dassati stari a gugghia, chista è fimmana di pinna e no di gugghia!”.

La signora rimase stupita, stimava comare Rosuzza che era donna di esperienza e saggezza e da quel giorno non tediò più la nipote.

Passò il tempo  eterno tiranno , chiudendo le piccole case, uccidendo molti sogni, portando via radio e bracieri.

La bimba crebbe, portando nel cuore il ricordo della nonna, delle Comari, della principessa di verde vestita e del suo cavaliere con il violino in mano.

Oggi quella bambina ormai donna,  divenuta scrittrice ( come aveva sentenziato Comare Rosa)ha ritrovato la principessa e il suo cavaliere, sopravvissuti, all’usura del tempo, ai lutti e ai dolori.

Con delicatezza li ha abbracciati e portati nella sua casa, per continuare a scrivere, ricordare e sognare ancora.

 

 

 

 

 

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