Il vestito della principessa

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Nel tempo che fu  della mia infanzia, sognavo ad occhi aperti, ascoltando le fiabe che nonna Grazia mi raccontava prima di addormentarmi : c’era sempre una ragazza che alla fine sposava un principe, indossando un bellissimo abito in stile 800.

Forse, anche per questo i miei cartoni animati preferiti erano Candy Candy e Lady Oscar, dove continuavo a sognare guardando  abiti d’epoca, palazzi nobiliari e naturalmente la reggia di Versailles.

Avrei voluto che ci fosse la macchina del tempo per poter vivere nel 1800 o almeno  nel periodo della Rivoluzione Francese.

Vivere in un castello con il letto a baldacchino, la chaise longue, lo scrittoio e  il tavolo per il trucco.

Sognavo un giardino pieno di fiori e fontane, dove passeggiare, guardare il tramonto e naturalmente indossare  quei meravigliosi vestiti  in velluto, seta, pizzo e raso.

Un sogno che sin dalla Scuola Elementare(oggi Primaria) mi ha portato ad amare infinitamente la storia.

Al borgo natio i sogni mi facevano compagnia, mi confortano insieme alla lettura del libri, che papà mi portava da Reggio Calabria e alla musica dei Matia Bazar.

Un giorno la mia amica Montagnina,  che conosceva il mio amore per le fiabe, mi aveva regalato una cartolina che raffigurava una principessa con un bellissimo abito in stile 800, io la conservavo gelosamente perché mi faceva sognare.

Ricordo che quando la domenica andavo a Messa insieme  a  mia nonna, prima di ritornare a casa  sbirciavo dalla finestre di Palazzo Acton, nella speranza di vedere volteggiare una principessa, di poter sentire il fruscio delle sue gonne.

Adoravo guardare all’interno del palazzo, le stanze con i mobili antichi, il giardino che profumava di  fiori, di storia, di nobiltà.

La stessa cosa facevo, quando papà mi portava a vedere l’altro palazzo degli Acton  che si trovava sullo Zomaro.

Guardavo incantata e sognavo.

Un giorno il cuoco del palazzo, il signor Carbone, realizzò il mio sogno;  i principi Acton erano a Napoli e mi fece entrare, mostrandomi tutte le stanze e il bellissimo giardino pieno di  gardenie profumate.

Amavo quelle gardenie, perché mi facevano ricordare l’opera di Alexsandre  Dumas figlio “La signora delle Camelie”.

Anche se palazzo Acton non era la reggia di Versailles, né quella di Caserta, ero felicissima perché lo stesso profumava di storia e nobiltà.

Papà mi comprò Il Gattopardo di Giuseppe  Tomasi di Lampedusa e dopo   averlo letto guardai anche il film:  il ballo di Angelica e Tancredi, assomigliava al ballo dei miei sogni.

Un altro romanzo che mi faceva sognare erano I Vicerè di Federico De Roberto, Cime Tempestose, Jane Eire e anche Le Affinità Elettive, anche se quest’ultimo era un’altra storia.

Più tardi, durante gli anni dell’adolescenza, il sogno dell’abito in stile 800 si  trasformò nel sogno dell’abito da sposa, che non poteva essere diverso da quello di Angelica, di  Sissi, di Maria Antonietta o delle principesse delle fiabe.

Sarei stata la sposa più bella del mondo, nella cattedrale  di Oppido Mamertina.

Anche la piazza antistante la cattedrale e palazzo Grillo profumavano di storia e quindi non poteva esserci location, più in linea con i miei sogni.

Ancora oggi quando vado ad Oppido  Mamertina, in quella piazza  respiro  il profumo della storia.

Continuavo a sognare, perché ancora una volta, non mi restava che sognare e leggere e poi piano piano, quasi timidamente, scrivere.

Nel 1997 ho lavorato ad Oppido Mamertina.

Dal borgo natio ad Oppido Mamertina, sognavo, aiutata dalla bellezza della Ferrandina in autunno, quando le foglie ingiallite danzavano sospinte dal vento e la siepe si vestiva di rosso;in inverno guardando le poiane sui rami nudi degli alberi e poi a primavera quando i peschi erano in fiore e le rondini ritornavano felici ai loro nidi.

Quadri dipinti dalla mano di Dio.

Quadri che  cullavano i miei sogni e così ritornava la principessa con il suo abito in stile 800, con il suo sogno d’amore, pulito, puro, limpido , cristallino come l’acqua che scorreva nella “mastra” del podere di nonno Ferdinando, a cui si poteva accedere anche da un viottolo della Ferrandina.

E poi venne il tempo del  dolore, un dolore lancinante che ha squarciato il cuore della principessa, fino a farla morire, insieme all’amore, al vestito in stile 800, al bouquet di zagara e rose, all’Ave Maria di Schubert,  al  palazzo, al castello , alla casa, al camino e alla culla.

Tutto sepolto in una bara piena di freddo e solitudine.

Piano piano mi sono fatta coraggio ed  ho partecipato al funerale della principessa, l’ho sepolta accompagnandola insieme al canto delle anime dannate, quelle incastrate tra questa e l’altra vita.

Il resto l’ha fatto il tempo che scorre lento e inesorabile.

Il tempo che scorre portandosi via i sogni, le speranze, il domani che diventa passato, senza futuro.

Adesso,in questi giorni freddi e solitari di febbraio, all’improvviso  due  video di Liberato, un bravissimo cantante napoletano: Anna e Partenope; hanno riportato al mio cuore la principessa, il palazzo, la storia, la nobiltà e ho pianto come nei giorni del  funerale, come nei  giorni del lutto.

Ma una certezza che diventa compagna, mi appartiene:  sono sicura che quando la notte Selene splende superba sulla Ferrandina e  sulla campana della piccola chiesa, la principessa  con il suo bellissimo abito in stile 800, lascia la bara e ritorna a sognare.

Danza tra le braccia del suo principe,  sulle note  di un valzer viennese ,volteggia nella magia della Ferrandina, aspetta la carrozza  trainata dai cavalli, sorride felice.

Fantasmi silenti le fanno compagnia, sorridono, volteggiano nell’aria che profuma di terra e di vento, di storia e  di storie, di nobiltà e incanto, di lacrime e dolore.

All’improvviso la voce di Liberato, sovrasta le note del valzer:

“O cor sta alluccanno
Assiettete ccà abbascio
Pure si fernesce ca ce jittammo ‘e cose ‘nfaccia
Nun è tropp tarde
It’s so fucking hard
Mo te l’aggi”a dicere
Nun te spusá cu chillo
But I love you still
Senza ‘e te che faccio?
Io nun so’ cagnato, tengo n’ato tatuaggio
Baby, please forgive me
Basta nu messaggio
Chist’ammore è nato sott”e fuoche e llà sta”.

 

 

 

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