“Virdimura” è il nome di una donna realmente vissuta in Sicilia nel XIV secolo , di origine ebrea, figlia di medico e moglie di Pasquale de Medico di Catania.
Prima donna ufficialmente autorizzata ad esercitare la professione medica e la chirurgia nel mondo.
Virdimura è la protagonista del meraviglioso romanzo di Simona Lo Iacono, Ugo Guanda Editore, che mi ha infinitamente emozionata non solo perché parla di arte medica, ma perché nella storia di Virdimura, c’è la consapevolezza della bellezza del mondo, la contemplazione dell’invisibile, la misericordia che non conosce appartenenze.
Nata in un giorno di pioggia e di presagi, Virdimura porta il nome del muschio che affiora tenace dalle mura di Catania e della sua nascita non sa quasi nulla. A crescerla è suo padre, il maestro Urìa, medico ed ebreo, « il più alto dei giudei, il più forte, il più santo ». Un uomo che conosce i segreti delle spezie e i progressi delle scienze, che parla molte lingue, che sa che da tutto bisogna imparare: dalla natura, dalla strada, dalla poesia.
A Virdimura insegna a guarire sia i corpi sia le anime, senza distinguere tra musulmani, cristiani o ebrei. E soprattutto le trasmette il segreto più importante: « La medicina non esige bravura. Solo coraggio ». Queste parole Virdimura ripete, ormai anziana, alla Commissione di giudici riunita per decidere se concederle, prima donna della storia, la « licenza per curare ». E davanti a loro Virdimura ripercorre, in un racconto vividissimo, tutta la sua vita: la lotta di suo padre contro l’epidemia di tifo che infesta la città, la solitudine dopo la sua scomparsa, gli studi instancabili sui libri che le ha lasciato, le donne visitate in segreto e operate di notte, le accuse di stregoneria da cui deve difendersi, e soprattutto il legame con Pasquale, l’amico d’infanzia che torna al suo fianco dopo un lungo apprendistato in Oriente, anche lui medico, per restarle accanto sempre, alleato fedele contro tutti gli attacchi della sorte. Affiancata da Pasquale, Virdimura realizza un progetto di medicina e di inclusione, di conoscenza delle diversità, di sostegno e accettazione, insegnando come prendere parte alla grande liturgia della natura, promuovendo anche il potere della danza, della musica, della risata. C’è una ritualità umana nelle sue azioni, come nel suo amore, che si ripete ogni giorno e che si adempie vivendo insieme, e curando insieme, perché dove ci sono occhi di un malato, lì c’è “lo Dio delli padri”. Anche quando la peste attacca Catania, Virdimura e Pasquale riescono a contenere il contagio, nonostante le accuse di chi vedeva la diffusione della malattia “manufatta dai giudii”. Non si fermano, non negano aiuto, interpretano i segni della malattia, identificandone le origini, combattendo ogni superstizione.
Non si è stranieri a nessuno, è l’insegnamento di maestro Urìa che Virdimura fa suo per tutta la vita.
Curare, perdonare, ringraziare: nella sua accorata relazione ai dottori che la devono valutare, Virdimura traccia i comandamenti di un credo dell’arte medica e della relazione umana. La sua licenza, che le permette di essere dutturissa, prima nella storia, è un riconoscimento a una vita sotto il segno dell’amore, del coraggio, del diritto alla cura, e di una felicità che arriva “se ti consegni agli indifesi e ai miti”.
“Lo Dio stava in quel luogo che i dutturi evitavano per non contagiarsi con il disonore. Stava nei letti disfatti. Nella resa delle più anziane. Nel trucco sbavato. Stava dove nessuno voleva stare.”
Sullo sfondo di una Catania fiammeggiante di vita, commerci, religioni, dove i destini si incrociano all’ombra dell’Etna ribollente, Simona Lo Iacono ci regala il grandioso ritratto di una protagonista indimenticabile, fiera e coraggiosa, che combatte le superstizioni e le leggi degli uomini per affermare il diritto di tutti a essere curati e delle donne a essere libere.
Un libro che consiglio a chi, come me, crede ancora nel potere dei sogni.