Il 50° anniversario della nascita delle Regioni a statuto ordinario (1970-2020) è stato ricordato nel corso di un incontro presso lo Spazio Open promosso dall’Associazione Culturale Anassilaos congiuntamente con lo stesso Spazio Open.
A trattare dell’evento il prof. Antonino Romeo il cui intervento integrale è disponibile presso il sito Facebook di Anassilaos e su You Tube a partire da oggi.
Il relatore ha affrontato il tema con un viaggio a ritroso nella storia d’Italia a partire dall’indomani della raggiunta Unità e del conseguente dibattito sulla forma da dare al nuovo Stato nato sotto la guida dei Savoia di Vittorio Emanuele II. E’ noto che la scelta federalista, di cui pure si parlò, fu accantonata a favore di uno stato unitario rigidamente accentrato sia perché erano ancora attuali le minacce nei confronti dell’unificazione raggiunta da parte di potenze estere e delle dinastie italiane scacciate dal trono (i Borboni soprattutto) sia perché nelle regioni del Mezzogiorno si era scatenato il fenomeno del brigantaggio represso con estrema durezza (Legge Pica) dal Governo. L’accentramento comportava all’inizio che persino i sindaci fossero di nomina regia e soltanto con gli anni si giunse alla loro elezione. L’evoluzione politico-amministrativa del Regno e la nascita dei partiti politici nei primi anni del Novecento favorirono misure di decentramento amministrativo nei diversi comuni d’Italia fino all’avvento del Fascismo che con la legge del 4 febbraio 1926 e con il Decreto regio del 3 settembre dello stesso anno istituiva il Podestà, nominato dal Governo con decreto regio per cinque anni, e la Consulta municipale sopprimendo ogni libertà politica. Negli anni in cui l’Assemblea Costituente lavorava alla redazione della nuova Costituzione era evidente che il tema, mai del tutto sopito, del federalismo tornasse al centro del dibattito dei Padri Costituenti. Ma a parte il minoritario Partito d’Azione, le forze politiche che erano di gran lunga maggioranza nel Paese all’indomani delle elezioni del 2 giugno del 1946 per la Costituente, erano molto diffidenti nei confronti di un federalismo che avrebbe assunto le forme di un Regionalismo accentuato. I moderati della DC perché temevano di regalare alle sinistre buona parte delle regioni del Nord (le regioni rosse) dove più aveva infuriato la guerra di liberazione e con il loro volto avevano deciso il referendum monarchia-repubblica; le sinistre (PCI e PSI), a loro volta, perché temevano un Sud nelle mani, come in passato, di un notabilato locale. Di fatto si raggiunse un compromesso che riconosceva le regioni ma ne rinviava le elezioni pur ribadendo il carattere unitario della Repubblica “ come si ricava dall’art. 5 della Costituzione “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principî ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. Il tutto, come è noto, si trasferisce poi al punto VIII delle disposizioni finali e transitorie che merita di essere ricordato e citato per intero “Le elezioni dei Consigli regionali e degli organi elettivi delle amministrazioni provinciali sono indette entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione. Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della Pubblica Amministrazione il passaggio delle funzioni statali attribuite alle Regioni. Fino a quando non sia provveduto al riordinamento e alla distribuzione delle funzioni amministrative fra gli enti locali restano alle Provincie ed ai Comuni le funzioni che esercitano attualmente e le altre di cui le Regioni deleghino loro l’esercizio. Leggi della Repubblica regolano il passaggio alle Regioni di funzionari e dipendenti dello Stato, anche delle amministrazioni centrali, che sia reso necessario dal nuovo ordinamento. Per la formazione dei loro uffici le Regioni devono, tranne che in casi di necessità, trarre il proprio personale da quello dello Stato e degli enti locali.” Una “transitorietà” durata ventidue anni, fino alle elezioni del 7 e 8 giugno 1970.
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