Elezioni in Marocco, un paese stabile che si incammina verso il progresso.

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Nel turbolento quadrante nordafricano è piacevole osservare gli sviluppi politici e istituzionali che stanno avvenendo in Marocco. Già nel 2001 infatti con l’approvazione di un pacchetto di riforme il paese ha avviato un processo di ammodernamento degno di nota. Con quel referendum infatti, il Re è obbligato a nominare primo ministro il leader del partito di maggioranza relativa e questi e non più il sovrano, può sciogliere il parlamento. Il Parlamento stesso, può concedere l’amnistia, privilegio in precedenza tenuto solo dal monarca. Infine il berbero è divento lingua ufficiale del paese accanto all’arabo. Il paese inoltre gode di un buon tasso di crescita e sui 52 stati del continente si colloca tra i primi 15 per reddito pro-capite.

Il paese inoltre è in prima fila nella lotta al terrorismo di matrice islamica e questo non è cosa di poco conto per una nazione in cui il 99% dei residenti è seguace di questa nobile religione. Non a caso questa azione, in Marocco, è l’obiettivo degli ulema – esperti di scienze religiose – vicini al re Mohammed VI. Questi teologi costruiscono ed esportano, verso l’Africa e verso l’Europa, un tipo particolare di soft power: quello religioso.  L’ultima di una serie di iniziative è stata presentata a novembre dalla Rabita Mohammadia, importante organizzazione di ulema in Marocco, sostenuta dal sovrano: una collana di “quaderni scientifici”, pubblicata sul sito della Rabita. Guerra santa, dal Califfato allo Stato, la tassa imposta in passato nelle terre d’Islam ai non musulmani sono alcuni temi trattati, che mirano a decostruire l’uso strumentale che gli estremisti islamici fanno di questi concetti per giustificare violenze. In ritardo sull’inizio delle lezioni sono inoltre arrivati tra i banchi i manuali revisionati di educazione religiosa per le scuole pubbliche. Per lungo tempo nel Paese si è dibattuto su una riforma di questi testi, ora corretti con l’eliminazione dei passi considerati più “radicali”. Un fatto importante se tiene conto dei rigurgiti salafiti che si annidano tra le masse ancora non toccate dal benessere come testimoniano gli attentati che tredici anni fa, a Casablanca, costarono la vita a 45 persone. Il 21 agosto scorso, il re si è poi rivolto ai 5 milioni di marocchini della diaspora, chiedendo loro “davanti alla proliferazione dell’oscurantismo diffuso in nome della religione” di restare attaccati alle “proprie tradizioni secolari e ai valori della loro religione”, nella forma dell’Islam di casa propria.

E la maturità del percorso politico e istituzionale marocchino è testimoniata dall’esito delle elezioni politiche del 7 ottobre scorso. Gli islamiti moderati del premier Abdellilah Benkirane, hanno visto crescere i loro seggi e i loro voti raggiungendo il 31.6% dei consensi ma tallonati dai laici del partito filo-monarchico “Autenticità e modernità” arrivato secondo con il 25.8% dei voti. Terzi i laici di un partito affiliato all’internazionale democristiana, l’Istiqlal con l’11.6% e i liberali – anche essi laici – del Raggruppamento degli Indipendenti, quarti con il 9.4% dei consensi. A seguire i partiti di sinistra – Unione socialista delle forze popolari e partito del progresso e altri partiti laici minori di centro e di centrodestra. Il 10 ottobre scorso quindi, Benkirane è stato incaricato di formare un governo – anche questa volta di coalizione – il che sottolinea come i vari attori politici agiscano ormai in una quadro di responsabilità nazionale.

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