L’Ospedale di Nicotera: il più grande malato della città.

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Se passate per Nicotera, cittadina della costa tirrenica vibonese, e ammirate il panorama che si gode dall’Affaccio noterete un enorme palazzone bianco-verde. Si tratta dell’ospedale civile, un presidio nato a tutela di quel diritto alla salute che, per i soliti giochi di potere e per l’inadeguatezza della classe dirigente locale, è stato calpestato. Ricostruire la storia dell’ospedale è cosa complessa dato che, le singole vicende, formano una specie di labirinto dove la verità si perde nei racconti di chi ha vissuto quelle stagioni storiche che hanno visto la realizzazione di quest’opera e poi la sua mancata apertura, fino alle illusioni dei tempi recenti, con tante versioni differenti, dove ognuno cerca di scaricare addosso agli altri il peso delle responsabilità, all’insegna di quel gioco dello scaricabarile che in questa città, molti hanno elevato a rango di vera e propria arte.

La storia dell’ospedale inizia nel 1967, quando l’amministrazione comunale – DC-PSI, la prima con questa formula politica – guidata dal sindaco Barbalace, ottiene un finanziamento di 225 milioni di lire, seguito poi, nel marzo 1968 da un secondo contributo di 450 milioni di lire. Dopo aver scelto il luogo su cui realizzare l’opera, si procede all’esproprio del terreno e si appaltano i lavori alla ditta Lapa-Ferraro, lavori che hanno inizio nella primavera del 1970. Nel corso di quell’anno, la giunta Barbalace, lascia il posto ad un lungo commissariamento, a seguito del quale, dopo la sindacatura di Ricciotti Mileto, il nuovo sindaco Fortunato Campennì, riceve un altro finanziamento per il completamento della struttura che viene poi però ultimato solo durante la sindacatura Di  Bella (1978-1983), grazie all’aiuto del ministro – di origine nicoterese- Nicola Capria. Per il collaudo, si costituisce una apposita commissione e il ministro cosentino, il democristiano Riccardo Misasi, nomina, per eseguirlo, l’ingegnere Franco Mauro.

Il risultato è mirabile. Una struttura colossale, disposta su cinque piani, con doppie ale per ogni piano, più un reparto operatorio di notevoli dimensioni, mentre, al pianoterra, vengono allocati gli ambulatori e gli uffici e nel seminterrato, gli impianti di riscaldamento e le cucine. Non si è badato a spese per realizzarlo, tanto che i pavimenti, sono tutti in marmo di Carrara. Costo dell’opera complessivo, sei miliardi delle vecchie lire. Si attende solo l’apertura e invece arriva la prima doccia fredda, poiché il Piano sanitario nazionale, stabilisce che ospedali come il nostro debbano riconvertire le proprie funzioni sanitarie da generaliste a specialistiche.

Sollecitati dal ministro Misasi, i redattori del piano sanitario regionale, Grassi e Vetturini, inviati da Roma, consigliano di orientarsi verso un centro specialistico (trapianto del midollo osseo, o centro ustioni oppure una struttura di medicina riabilitativa). Si accende però la bagarre politica, tra chi vuole seguire questa strada e chi insiste per mantenere una struttura generalista. L’apertura dell’ospedale è così rinviata sine die e, a trarne beneficio, è la vicina Tropea, la cui classe dirigente, unita alla popolazione, dando prova di grande compattezza, riesce ad aprire in quella città, un ospedale destinato a soppiantare il plesso nicoterese, più ampio e più facilmente raggiungibile.

Nel corso degli anni poi, dall’ospedale, nel colpevole silenzio generale, vengono asportati mobli, attrezzature e persino gli stessi pavimenti di marmo. Poi cominciano a girare nuove ipotesi. Nel 1993 si profila la realizzazione di un polo geriatrico. Poi nel 1995, il Gaslini di Genova, mette gli occhi sulla struttura con l’obiettivo di farla diventare un polo d’eccellenza per tutto il Sud Italia e non solo, perché i tecnici della società Galgano, che stilarono allora lo studio di fattibilità per la nuova struttura, affermarono che questa sarebbe stata addirittura di livello europeo, disposta su sette piani, con 200 posti letto e 14000 metri quadri di superficie, per cinquanta miliardi delle vecchie lire di costo. Un bel sogno purtroppo finito in una bolla di sapone.

Secolo nuovo, polemiche nuove. Nel maggio del 2006, il direttore generale dell’Asp di Vibo valentia, Alfonso Luciano, a seguito di un incontro con esponenti politici locali, presente l’allora presidente della provincia di Vibo, Bruni, dispone un potenziamento dei servizi di radiologia, diabetologia, endocrinologia e neurologia e, cosa più importante, si dice disponibile a valutare l’istituzione di una postazione fissa del 118. Ma passano pochi mesi e nella primavera del 2007, mentre sulla scia della vicenda della dieta mediterranea e della riscoperta storica dei risultati dello “Studio dei sette paesi” si valuta l’ipotesi di riconvertire l’ospedale civile in un Polo di ricerca sul dismetabolismo alimentare in collaborazione con l’Università di Tor Vergata, arriva un’altra doccia fredda. Durante un convegno a Limbadi, l’allora assessore regionale alla sanità, la lametina Doris Lo Moro, dichiara addirittura che la regione riteneva ormai opportuno vendere la struttura nicoterese per farne un albergo. Pochi giorni dopo poi, il nuovo Piano sanitario regionale liquida il nostro ospedale con queste poche righe che hanno il sapore dell’epitaffio: “il plesso di Nicotera non avrà più funzioni sanitarie”.  Un disegno incredibile che fosse sarebbe passato se la stampa non gli avesse dato subito ampio risalto, facendo emergere le feroci reazioni di tutti gli attori politici cittadini del tempo, dopo un vorticoso giro di riunioni, incontri e documenti. Si segnala in questo frangente la soluzione alternativa, che ebbe molta eco sulla stampa in quella estate, prospettata dal dottor Carlo De Gaetano che propone di riconvertire le strutture destinate dal PSR alla chiusura – Nicotera, Gerace, Scalea, Rosarno – in strutture per la lungodegenza e la riabilitazione extraospedaliera. Ipotesi che però restano tali. Sempre in quell’estate – dopo un acceso dibattito tenutosi presso la sala conferenze del museo diocesano di Nicotera, tra i rappresentanti di tutti i sei partiti del centrosinistra e dei movimenti civici presenti allora sul territorio, presenti noti luminari come il dottor Umberto D’Agostino primario a quel tempo attivo in Lombardia e il prof. Antonino Cavallari, nicoterese doc e primario dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna – si analizzò il PSR e si misero nero su bianco tre precise proposte: 1) mantenimento della destinazione sanitaria dell’ospedale e potenziamento dei servizi esistenti; 2) istituzione di un pronto soccorso di primo livello, o in alternativa di un autoambulanza H24 con presenza medica a bordo per tutto l’anno;  3) utilizzo della struttura o come “Casa della salute” o come Hospice  per i malati oncologici o ancora come possibile Centro studi sul dismetabolismo alimentare. Nulla però si mosse.

Nell’ottobre del 2008 è invece l’amministrazione comunale guidata da Salvatore Reggio, accompagnata dal Prof. Antonino De Lorenzo dell’Università di Tor Vergata di Roma, a chiedere in audizione davanti alla commissione sanità, a Reggio Calabria, l’istituzione del Centro studi sul dismetabolismo alimentare, basato sull’idea sviluppata dal prof. Cavallari e magistralmente esposta, in quella sede, dallo stesso De Lorenzo. Gli stessi, si incontrano pochi giorni dopo, con il nuovo Direttore generale dell’Asp di Vibo, dottor Rubens Curia che si impegna a non abbandonare a sé stesso il plesso ospedaliero cittadino, promettendo il potenziamento della radiologia ed altre migliorie.  Ma pochi giorni dopo, il ritardo sull’arrivo dei soccorsi in Via Corte, per soccorrere un ragazzo limbadese di 15 anni rimasto ferito, fa esplodere l’ira popolare. Nasce così il movimento popolare “Salviamoci la vita” e cominciano 39 giorni di lotta che vede il movimento supportato dalle amministrazioni locali, la serrata dei commercianti e lo sciopero degli studenti delle scuole. Curia piomba a Nicotera, il 27 ottobre e in una sala consiliare comunale gremitissima, promette lavori di ristrutturazione, potenziamento del Centro per l’obesità, e un ambiente più decoroso per gli ambulatori e l’istituzione di quello che lui chiama “presidio ambulatoriale distrettuale” H24 con sede a Nicotera. Il 14 giugno 2010, quella che però viene aperta è solo una nuova guardia medica certo più attrezzata ma sicuramente non sufficiente ai bisogni di una popolazione che ammonta a 22.000 anime, calcolando il comprensorio nicoterese.

Non solo: due anni dopo, in un nuovo clima di rovente polemiche, chiude i battenti il Centro per l’obesità che – in cooperazione dal 2010 con l’Accademia Internazionale della Dieta Mediterranea di Nicotera – aveva invece dato ottimi risultati dal punto di vista dei servizi erogati e raggiunto una platea di utenti provenienti anche da fuori provincia.

Nel 2013 infine, è il nuovo direttore dell’Asp Pompea Bernardi, a sedere presso il civico consesso cittadino riunito al completo e a promettere la riconversione della struttura ospedaliera a “Casa della salute”.

Eppure quella struttura potrebbe essere utilizzata eccome. Si potrebbe pensare a interessare qualche soggetto che opera nel settore della sanità privata oppure sfruttarla per altri scopi, anche a fini di ricerca. Ipotesi se ne possono fare a decine ma di certo lasciarla così è davvero un vero peccato. Nel frattempo è auspicabile una seria azione progettuale volta alla salvaguardia dei presidi e dei servizi sanitari attivi nel plesso e un loro potenziamento.

 

 

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