L’incendio alla tendopoli di San Ferdinando ripropone il tema del come fare accoglienza ai migranti.

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Della vecchia tendopoli che ospitava i tanti migranti – circa settecento persone, tutti lavoratori stagionali di origine africana che trovano occupazione principalmente in campo agricolo ed anche in altri settori  e che spesso vediamo per la strada che va verso San Ferdinando – nulla è rimasto dopo l’incendio che l’ha quasi interamente distrutta. Ma invece di cogliere l’occasione di porre fine a questo disdicevole e indecoroso modo di fare accoglienza si è annunciato che la baraccopoli risorgerà, forse un pò meglio di prima – cioè con delle tende vere al posto di quei ripari di fortuna che tutti abbiamo visto in tv o sui giornali – un atto di umanità certo, ma che non cambia la sostanza sul modello di accoglienza che si è voluto fare qui, in questa parte della Calabria.

E ‘c’è voluto un incendio per far si che il nuovo campo che lo stato, si appresta a realizzare sulle ceneri della vecchia tendopoli, sia almeno dotato di tutti quei servizi che da anni sono una chimera per i lavoratori stagionali: acqua, luce, servizi igienici che sono stati presenti solo in alcuni periodi e che poi, finiti i fondi ministeriali, non sono stati più ripristinati. E per fortuna che almeno non cì è scappato il morto.

Il tutto si inquadra nel contesto più ampio di un paese che deve decidere che linea tenere sull’immigrazione. Perchè i paesi seri – USA, Canada, Australia, quelli del Nord Europa, si accaparanno i migranti migliori: medici nigeriani, ingegneri indiani e pakistani, informatici cinesi ecc. oltre naturalmente ai profughi che scappano da guerre e carestie.

Anche l’Italia dovrebbe fare così e consentire a questa persone con una specializzazione, di acquisire la cittadinanza dopo un certo periodo di permanenza sul suolo patrio, a condizione che rispettino le nostre leggi. Lo sapevano bene gli antichi romani che pur gelosi della loro posizione di privilegio, rispetto a Latini e alleati, non esitavano a concedere la cittadinanza agli elementi migliori delle città straniere che assoggettavano.

Per gli altri che provengono da paesi poveri dove manca ogni forma di istruzione si può pensare a contratti di solidarietà nel senso che li si può accogliere per un determinato periodo di tempo – sei mesi o un anno – per fare quei lavori stagionali o contingenti (si pensi all’edilizia) purchè non vengano buttati in mezzo a una strada come è successo a San Ferdinando. I profughi invece – quelli veri – li si accolga ma non stipandoli in tendopoli improvvisate ma dislocandoli sul territorio con dei piani mirati gestiti dalle Prefetture in sinergia con i comuni e le associazioni di volontariato che prevedano il loro dislocamento nei nostri centri storici in via di spopolamento. Se pensiamo che solo in Calabria ci sono 400 comuni e che accogliere una cinquantina di profughi a testa – un numero che potrebbe crescere in proporzione agli abitanti e che non altera certo ne la sicurezza ne la struttura della popolazione locale – si può vedere come, in pochi mesi, si potrebbero ospitare 20mila persone. E queste persone assieme ai nostri disoccupati potrebbero essere impiegati in lavori di pubblica utilità, mentre potrebbero sorgere cooperative circondariali di mediatori culturali finanziate dallo stato.

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