Da qualche settimana gli occhi degli osservatori, dei cronisti, delle forze politiche sono puntate su Palazzo Convento dopo l’annuncio dei commissari di voler riscrivere il Piano strutturale comunale e impostarlo all’insegna del principio di “consumo di suolo zero”. Una novità non da poco.
Ma che cosa vuol dire “consumo di suolo zero“? Cerchiamo di capirci di più.
Da diversi anni, l’Unione Europea ha posto l’attenzione sui fenomeni di diffusione delle aree urbane, il cosiddetto urban sprawl, come testimoniano i due rapporti elaborati dal Joint Research Centre e dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) nel 2002 e nel 2006 che evidenziano lo scollamento tra crescita della popolazione e crescita dell’urbanizzazione e hanno portato dapprima al varo della Strategia tematica per la protezione e l’uso sostenibile del suolo e poi alla “Tabella di marcia per un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse” del 2011, con la definizione dell’obiettivo dell’arresto del consumo del suolo entro l’anno 2050. Obiettivo rafforzato in seguito con l’approvazione del Settimo Programma di Azione Ambientale.
Il suolo non edificato, infatti, inteso come terreno, svolge alcune funzioni fondamentali: a) la funzione produttiva primaria, correlata alla produzione di biomassa vegetale e di materie prime agroalimentari; b) funzione di regolazione idrica, con il riferimento al ciclo dell’acqua, all’azione di fitodepurazione e all’assorbimento dell’acqua piovana e della conseguente sicurezza idrogeologica; c) funzione di regolazione dei cicli degli elementi fondamentali per la vita e di assorbimento delle sostanze tossiche e inquinanti; d) funzione di conservazione della biodiversità intrinseca (gli organismi del suolo) e secondaria; e) funzione strategica connessa alla riserva di superfici atte a far fronte a bisogni e aspettative di benessere delle future generazioni, nonché ad assicurare la sovranità alimentare; f) funzione di regolazione climatica.
Non è un caso che in Europa come nel Nord America, oggi esiste un vasto movimento di critica radicale all’espansione del cosiddetto spraw (il fenomeno urbanistico connotato dalla crescita rapida e disordinata di una città) secondo cui l’artificializzazione dei suoli ha almeno quattro grandi effetti negativi a carico della società e dell’ambiente: 1) la frammentazione del paesaggio con conseguenze su ecosistemi, assetto idrogeologico; 2) il danneggiamento in senso socio-culturale, poiché il paesaggio è anche percezione umana ed identità culturale; 3) il depauperamento della qualità sociale dal momento che questa forte frammentazione porta sovente alla creazione di aree isolate/emarginate; 4) l’aumento dei costi di urbanizzazione e fornitura dei servizi.
Sono concetti che col passare degli anni si sono fatti strada anche nel dibattito politico italiano e urbanistico. Già anni fa, alcune regioni – il Veneto e la Toscana – hanno fatto proprio il principio del “consumo di suolo zero”. In Calabria, le modifiche alla LR 19/2002 hanno previsto che “il principio di “consumo di suolo zero” rappresenti “l’obiettivo più apprezzabile ed auspicabile per i Comuni che, nel suo perseguimento, si prefiggono di non utilizzare ulteriori quantità di superficie del territorio per l’espansione del proprio abitato, superiori a quelle già disponibili ed approvate nel previgente strumento urbanistico generale” e che pertanto “prima della delibera di adozione del Piano Strutturale Comunale (PSC), il consiglio comunale può deliberare l’adesione al principio di “consumo di suolo zero” precisando altresì che a tale delibera “deve essere allegato un documento ricognitivo delle quantità di aree e volumi ancora disponibili e non utilizzati, già ricompresi nelle zone B, C, D, F” e che “tali aree possono essere riproposte o rimodulate quali ambiti urbanizzati ed urbanizzabili nel nuovo documento preliminare al PSC, senza alcuna previsione di volumi maggiori rispetto a quelli ancora disponibili del piano vigente.“
E’ anche nata l’Associazione Comuni Virtuosi – costituitasi su iniziativa dei centri urbani di Colorno (Parma), Monsano (Ancona), Melpignano (Lecce), Vezzano Ligure (La Spezia), che si pone il grande obiettivo di gestire il territorio secondo criteri di sostenibilità ambientale anche se vi aderiscono solo un centinaio di enti locali sugli oltre 8000 presenti in Italia.
La situazione in Italia del resto non è delle più rosee. Secondo l’annuale rapporto dell’Ispra, il consumo di suolo in Italia procede a una velocità insostenibile: 23.000 kmq di territorio cementificato, pari al 7,6 % del territorio italiano (un’area pari a quella di Liguria, Campania e Molise messi insieme) – un dato che nel 1950 era del 2,7% – e che ha fatto triplicare in sessant’anni la superficie cementificata. Una situazione aggravata dal fatto che in molti comuni della penisola, le amministrazioni locali considerano come suolo già consumato non solo quello già urbanizzato, ma anche quello urbanizzabile, redigendo dei piani urbanistici sovradimensionati rispetto alle reali esigenze, invece di imporre il principio che un’area deve essere considerata consumata solamente quando l’urbanizzazione è conclusa.
E sempre dal rapporto ISPRA, quindi, emerge che la regione Calabria ha perso una percentuale di suolo superiore al 5% e che a livello provinciale, nel solo 2016, il suolo consumato ammonta al 5-6% in tutte le provincie calabresi, fatta eccezione per la provincia di Crotone, con percentuali maggiori del 15%, nei Comuni capoluogo (Cosenza, Catanzaro, Vibo Valentia) e valori sopra la media regionale in alcuni Comuni come Amantea, Diamante, Scalea, Rende, Soverato, Lamezia Terme, Gioia Tauro, Locri, Pizzo, Tropea, etc.
Ebbene il PSC nicoterese prevedeva la costruzione di quella che i tecnici definivano una “Città Turistica“, costituita in pratica da tutta la porzione occidentale del territorio, dal confine con Joppolo a nord fino al confine con San Ferdinando a sud, (….) compatibilmente con l’assetto vincolistico del territorio”, proseguendo – argomentavano i tecnici stessi – “nell’obiettivo di scoraggiare, e possibilmente bloccare, la proliferazione dell’edilizia residenziale stagionale delle seconde case, ritenuta improduttiva e devastante sia sotto il profilo ambientale che in relazione alla dotazione di servizi, per favorire e razionalizzare l’edilizia produttiva turistica, ovvero alberghi e villaggi”. Una scelta questa che non è stata invece apprezzata dai commissari che avranno forse pensato che allo sviluppo turistico fosse stato destinato terreno in eccesso rispetto alle reali esigenze del territorio. Senza contare i ricorsi – circa 200 – dei possessori di terreni agricoli che si oppongono al PSC in quanto, pare che l’aumento di valore del terreno comporta crescita di tributi e imposte.
Per alcuni, questa dei commissari quindi, è una scelta che potrebbe privare la cittadina del tanto auspicato sviluppo turistico, mentre altri pongono l’accento sul fatto che la città turistica, invece, già esiste ed è costituita sopratutto dalla parte antica di Nicotera dove un serio piano di rigenerazione urbana potrebbe trasformare tantissime immobili in tante unità turistiche ricettive all’insegna del progetto del cosidetto “albergo diffuso” una soluzione che incontra sempre più favori, soprattutto in piccoli centri, in virtù del fatto che contribuisce a coniugare il mantenimento e la valorizzazione dell’esistente, con lo sfruttamento turistico degli stessi luoghi, con particolare riferimento ai centri storici. Un albergo diffuso che quindi non è solo un modello di ospitalità made in Italy, ma è anche un modello di sviluppo turistico territoriale, rispettoso dell’ambiente e “sostenibile”, una modalità, di sviluppo locale, a rete che genera filiere e che rappresenta un contributo allo spopolamento dei borghi.
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