L’uomo per sua natura ha sempre pensato di essere dotato di una straordinaria dimensione, quella della libertà che ci permette di vivere la nostra quotidianità in assoluta spensieratezza decidendo cosa fare e cosa no, elaborando progetti e sognando viaggi lontani. Siamo soliti indossare forti corazze che ci difendono dagli attacchi esterni e ci anestetizzano dalle emozioni più spiacevoli. Abbiamo sempre pensato di essere provvisti del potere del controllo e di gestire eventi, situazioni e perché no anche persone. Le nostre vite, fino a qualche mese fa, scorrevano inesorabilmente alimentate da obiettivi e ambizioni, un instancabile fluire simile ad un fiume in piena.
Il coronavirus ha irrotto prepotentemente nelle nostre vite alterando gli equilibri, disarmandoci e alimentando paure e ansie. Quante volte ci siamo resi conto che ci mancava il respiro? Quante volte ci siamo chiesti se quella fosse la giusta direzione? Quante volte ci siamo sintonizzati con l’emozione provata? Poche o forse mai! Non ci siamo concessi il tempo della noia, il tempo della riflessione, il momento del respiro lungo. Ed ora stiamo sperimentando il tempo dell’attesa. Quell’attesa straziante tra ciò che concesso e ciò che è proibito, tra ciò che è e ciò che accadrà. Stiamo provando quelle emozioni tanto temute e abilmente represse, l’angoscia, la paura, il dolore, il senso della perdita.
Ci siamo scoperti fragili ma allo stesso tempo resilienti, soli ma solidali, precari ma creativi. Siamo difronte ad un’emergenza sanitaria ma anche psicologica e questa emergenza ci impone di R-Esistere. Ma come? Accettando per prima cosa le emozioni provate, dando loro un significato; praticando l’arte dell’ascolto; alimentando la fiducia nelle nostre capacità; eliminando i pensieri inutili e dannosi e mettendo in atto strategie costruttive.
L’accettazione di questa forte crisi che annulla la diversità, che alimenta la distanza fisica ma non quella emotiva è il punto di partenza per superare il caos generato. Seppur non vi è alcuna certezza di quello che accadrà, quel che è indubbio è che nulla sarà più come prima. Possiamo vedere questo trauma come una potente occasione di trasformazione e ripartenza. Non si tratta di riprendere dal punto interrotto, ma di avviare un nuovo inizio certi che nessuna crisi seppur dolorosa può disabilitare la potenza dell’essere umano e la sua tendenza attualizzante.
E che questa attesa non sia vana, ma che ci insegni a ritrovare il significato più profondo della vita raggiungendo la grandezza dell’homo patiens.