Al prefetto Carlo Mosca il “Premio Francesco Cossiga per l’intelligence”

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Gli sarebbe piaciuto. Il «Premio Cossiga per l’Intelligence» promosso dalla Società italiana di Intelligence, assegnato al prefetto Carlo Mosca dalla giuria presieduta da Gianni Letta, con vicepresidenti Giuseppe Cossiga e Mario Caligiuri, lo avrebbe molto divertito. La prima edizione si svolgerà in modalità virtuale il 17 agosto, in occasione del decennale della scomparsa di Francesco Cossiga. Avrebbe voluto certamente premiare lui il Prefetto Carlo Mosca, ma c’è suo figlio. L’ultima volta che lo andai a trovare a casa sua, Cossiga era un po’ malandato, ma mi avvertì subito che il mio telefonino Sony non eravamo ancora agli smart e gli iPhone, era un modello superato. La sua casa era piena di soldatini, di truppe sarde di piombo, di carabinieri in alta uniforme, ma non era un museo, era piuttosto la casa di un grande piccolo patriota. Quando mi chiamò per avvertirmi che avrebbe lasciato il Quirinale, lo andai a trovare con la mia compagna di allora e il suo bambino Andrea.

A lui consegnò, con estrema solennità, la bandiera di combattimento: «A te che rappresenti le nuove generazioni». Poi io lo seguii fino in Irlanda. Ma la sua passione per i giocattoli dell’Intelligence era molto più di una mania da collezionista. Cossiga aveva imparato già negli anni Cinquanta che cosa significasse far parte dell’Intelligence Community, e per giunta di lingua inglese. Non so quanto fluente fosse in inglese, ma lo capiva bene e scherzavamo sul fatto che in inglese per dire «rapporto sessuale» si dica sexual intercourse. Lo faceva ridere. Ma era un lettore scaltro di informazioni diplomatiche e aveva protetto e difeso con le unghie e coi denti l’organizzazione della Nato Stay behind (dietro le linee) che in Italia era stata curiosamente ribattezzata «Gladio» ma che esisteva tale e quale in tutti i Paesi della Nato. Era una organizzazione partigiana che si sarebbe dovuta attivare nel caso di occupazione sovietica. Quello fu il suo vero war game che finì malissimo quando Giulio Andreotti, presidente del Consiglio, consegnò le chiavi dell’organizzazione segreta al giudice Casson, sicché tutto finì in piazza e in uno scontro politico rovente.

Come sardo, si sentiva più vicino agli irlandesi che agli inglesi, ma era molto bravo nell’usare i codici, decifrare un rapporto diplomatico e saper trattare le materie di intelligence anche con gli ambasciatori. Ricordo la sua grande amicizia con l’ambasciatore sovietico e poi russo Adamishin che gli dette informazioni essenziali sulla più grande operazione di riciclaggio del tesoro sovietico di cui si occupò poi Falcone, non più procuratore, ma suo delegato personale e subito prima di essere ucciso. Cossiga mi diceva sempre che il suo vero maestro di Intelligence era stato Aldo Moro: il criptico intellettuale e professore che si sentiva perennemente tenuto d’occhio dal Kgb in Italia. Cossiga era il supervisore italiano del passaggio di denaro fra Mosca e il Partito comunista italiano, come ministro o rappresentante del governo, in compagnia di due agenti del Tesoro americano che controllavano soltanto la genuinità dei dollari che da Mosca arrivavano a Roma e che Cossiga (sue personali confidenze) faceva cambiare in lire alla banca dello Ior vaticano (Istituti Opere Religiose) da Monsignor Marcinkus.

Che non era proprio uno stinco di santo. Conosceva perfettamente gli schieramenti di missili europei di media gittata sovietici, gli SS20 e quelli di teatro americani Pershing e Cruise. Adorava, letteralmente adorava gli avversari sovietici con un sentimento che lo accomunava a John LeCarré: «Quei distinti signori che erano i grandi comunisti di quei tempi», mi diceva. E poi, sì, c’era anche l’apparato giocoso: le microspie, i rivelatori di microspie (gli portai un detector che avevo comprato a New York che faceva molti ronzii quando lo accostavamo ai suoi muri, cosa di cui era orgoglioso). Il suo amore possessivo per l’Arma dei Carabinieri dipendeva anche dal fatto che i Carabinieri sono sia polizia militare che civile, forza combattente e di intelligence, all’occorrenza polizia stradale. Che è anche il motivo per cui i Carabinieri sono stati sempre molto apprezzati anche dagli americani per le operazioni di peace keeping all’estero.

Adorava le uniformi, i gradi, le mostrine e mi regalò solennemente un maglione blu della Marina militare che conservo come una reliquia. Non aveva per natura un portamento militare, ma aveva una passione per la Storia e i suoi dettagli. Non si trattava solo di soldatini di piombo, ma di combattenti cibernetici. Mi regalò anche un grande album dell’intelligence con tutte le armi che si usavano trent’anni fa, introvabile nelle librerie. Da vero uomo di intelligence, ascoltava con piacere anche i pettegolezzi e si informava con curiosità dei particolari piccanti delle relazioni amorose nel mondo politico. Aveva una straordinaria collezione delle bandiere di combattimento di reggimenti e divisioni del passato, ma anche lettere che certificavano la sua competenza anche tecnica che gli permetteva di riconoscere una operazione mediatica da una «fabbricazione» che è una sostituzione del falso con il reale.

Sapeva molto di più di quello che possiamo immaginare e tutti speriamo che abbia lasciato scritto da qualche parte ciò che ancora ci manca per ricostruire quel che accadde, come e agito da chi, perché e quando. Lui lo sapeva, Andreotti anche e oggi il teatro politico è molto disadorno senza questi due personaggi. Specialmente senza Cossiga.

Di Paolo Guzzanti, fonte il Giornale

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