Omicidio di Matteo Vinci. Arrestati gli esecutori materiali.

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Nelle province di Vibo Valentia e Reggio Calabria, un’operazione dei carabinieri, denominata “Demetra 2”, diretta dalla procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro ha permesso  con le indagini, condotte dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia e del Reparto Crimini Violenti del Ros di Roma, coordinate dal sostituto procuratore Andrea Mancuso, hanno consentito di individuare i due soggetti che hanno fabbricato e materialmente posizionato il micidiale ordigno che ha cagionato la morte del caporalmaggiore Matteo Vinci ed il grave ferimento del padre Francesco Antonio, il 9 aprile 2018.

Rosaria Scarpulla

L’aricolato provvedimento cautelare, emesso dal gip del Tribunale di Catanzaro, su richiesta della procura antimafia diretta da Nicola Gratteri, è stato eseguito a carico di 7 persone, gravemente indiziate, a vario titolo, oltre che dei reati di omicidio e tentato omicidio, anche di danneggiamento, porto di esplosivi, tentata estorsione e traffico di droga. Già erano stati assicurati alla giustizia, a solo un paio di mesi dall’esplosione, i mandanti dell’efferato omicidio, appartenenti alla potente famiglia Mancuso. L’efferato crimine è maturato in un più ampio disegno estorsivo, posto in essere dai Mancuso, finalizzato all’illecita acquisizione di terreni, alla quale si sarebbe opposta la famiglia Vinci. La mano degli esecutori, invece, sarebbe stata armata dalla necessità di saldare un debito contratto nei traffici di droga.

Nell’operazione di oggi in carcere sono finiti: Vito Barbara, 30 anni di Soriano (già in carcere coinvolto nell’operazione Demetra 1) genero di Rosaria Mancuso, sorella dei boss di Limbadi anche lei già in carcere; Antonio Criniti, 30 anni e Filippo De Marco di 40, entrambi di Soriano ritenuti esecutori materiali dell’attentato; Domenico Bertucci, 27 anni di Spadola; Pantaleone Mancuso, 57 anni di Caroni, frazione di Limbadi. Ai domiciliari: Giuseppe Consiglio, 34 anni di Rosarno; Salvatore Paladino, 60 anni di Rosarno attualmente detenuto nel carcere di Reggio Calabria.

Sono trascorsi due anni dalla drammatica morte di Matteo Vinci, il giovane biologo limbadese assassinato in modo barbaro ed efferato da un’autobomba che, nel pomeriggio del 9 aprile 2018, alle ore 15.30, in località Macrea, ha squarciato la sua Ford Fiesta uccidendolo sul colpo e ferendo gravemente il padre Francesco (https://mediterraneinews.it/2018/04/10/un-ordigno-saltare-unautovettura-provocando-un-morto-ed-un-ferito-grave-limbadi-torna-la-paura).

“Matteo ci manca – affermava la madre, Rosaria Scarpulla – che oggi esulta per l’arresto degli esecutori materiali. Attendiamo la fine del processo con la speranza che vengano condannati tutti i soggetti coinvolti nel suo omicidio, perché per compiere questo assassinio è stato necessario coinvolgere altre persone che sapevano utilizzare, maneggiare collocare e far esplodere una radio-bomba”.

Una ferita che non si chiuderà mai quella della morte di Matteo, un dolore perenne, un’esperienza struggente e talmente devastante che nel contempo dà alla donna la forza di continuare a vivere affinchè il figlio ottenga la giustizia che merita.

“Bisogna scavare fino in fondo – affermava mamma Scarpulla – e trovare chi ha aiutato coloro che adesso sono sotto processo. La giustizia sta facendo della morte di Matteo la propria battaglia guidati dal procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, so che lui c’è e che sta lavorando sotto la cenere. Stanno emergendo tante verità, alcune a noi conosciute altre no Addentrandoci e andando avanti con le udienze stanno venendo fuori gli imbrogli, i sotterfugi, le scappatoie nascoste, insomma tutto lo sporco di questi anni compreso chi ha salvato la propria pelle non pensando a salvare quella di mio figlio”.

“A chi è dietro le sbarre – dichiara la donna – spero che venga inferta una condanna all’ergastolo perché a sentire questa parola dovranno tremare dalla paura e solo così inizieranno a parlare. La morte di Matteo è avvenuta silenziosamente e, oso dire, per tanti, perché non tutti avrebbero sacrificato la propria vita per Limbadi che lui amava molto e per noi”.

 

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