Urgenze addominali “scomparse” a causa del Covid-19. L’allarme del prof Gabriele Sganga, Direttore UOC del Gemelli.

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Il problema delle urgenze di chirurgia addominali ‘mancate’ o ‘ritardate’ ha riguardato tutta l’Italia, come illustra una survey condotta dalla Chirurgia d’Urgenza e del Trauma della Fondazione Policlinico Gemelli che ha rilevato un crollo del 25-30% delle urgenze addominali nella prima fase della pandemia, rispetto agli anni passati.

Urgenze addominali ridotte del 25-30% e forme gravi aumentate del 20-30%. È quanto è successo negli ospedali italiani la scorsa primavera, durante i mesi della prima ondata pandemica. E il motivo è presto spiegato: le persone avevano paura di andare in ospedale, per via del Covid-19. E questo anche se avevano sviluppato un’appendicite, una diverticolite, una colecistite o addirittura una perforazione intestinale, tutte urgenze di chirurgia addominale ‘tempo-dipendenti’. “Nei mesi di marzo e aprile – ricorda il prof Gabriele Sganga, Direttore della UOC Chirurgia d’Urgenza e del Trauma della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – al Gemelli, si è assistito a una riduzione del numero delle urgenze addominali in PS: meno urgenze, ma più gravi clinicamente e radiologicamente. Tali urgenze addominali spesso erano così severe da impedirci di poterle portare subito in sala operatoria, se non dopo averle stabilizzate prima, in terapia intensiva o in reparto. In molte occasioni abbiamo dovuto adottare delle terapie conservative (antibiotici e drenaggi percutanei), prima della terapia chirurgica definitiva. Molti interventi abitualmente ‘semplici’, come per esempio quelli di ernia inguinale arrivavano talvolta anche dopo una settimana dalla comparsa del problema, quando ormai l’ernia era ‘strozzata’, ovvero quando l’ansa intestinale incarcerata si era ischemizzata e non potevamo far altro che asportarla, anche in pazienti giovani. Analogamente, molte colecistiti e diverticoliti arrivavano circondate da gravi raccolte ascessuali. Insomma tutte le urgenze chirurgiche hanno subito un upgrading in termini di gravità. Perché i pazienti, impauriti dal pericolo del contagio non si recavano in ospedale, se non quando la situazione era ormai precipitata. Ma questo timore di contagio, pur umanamente comprensibile e tecnicamente spiegabile, contrasta con l’organizzazione che si sono dati gli ospedali: percorsi-Covid e percorsi-Covid- FREE. E il nostro policlinico è stato tra i primi ad attivarli”.

Il problema delle urgenze di chirurgia addominali ‘mancate’ o ‘ritardate’ ha riguardato tutta l’Italia, come ben illustra una survey condotta dalla Chirurgia d’Urgenza e del Trauma della nostra Fondazione che ha rilevato un crollo del 25-30% delle urgenze addominali nella prima fase della pandemia, rispetto agli anni passati.

“Arrivare tardi in ospedale con un’urgenza addominale come l’appendicite, la colecistite, la diverticolite – ammonisce Sganga – significa sviluppare una forma complicata, che porta ad interventi chirurgici più complessi, a un allungamento dei tempi di degenza e in generale a rischiare di più. Per questo raccomandiamo di non esitare a venire in ospedale in presenza di un ‘mal di pancia’ che peggiora rapidamente, ancor più se accompagnato da febbre. Quell’addome va subito visitato da un medico o da un chirurgo per verificare la presenza di segni di ‘peritonismo’, cioè di una infezione dentro l’addome che è quasi sempre di competenza chirurgica. Se una parte, o peggio tutto l’addome non è trattabile, è duro come il legno e offre resistenza alla palpazione, se c’è febbre, magari accompagnata da nausea e vomito, non bisogna perdere tempo. Avvertite subito il medico o correte in pronto soccorso. E’ fondamentale far valutare la situazione da un esperto. E guai al fai da te: prendere un anti-dolorifico può migliorare temporaneamente il dolore, ma intanto l’infezione addominale, la peritonite, peggiora e può portare a gravi conseguenze”.

Fonte: Panorama della sanità

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