Il Giudice Rosario Livatino sarà Beato.

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“ Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”.

Questa profonda e significativa frase appartiene al giudice Rosario Angelo Livatino, che sarà beatificato il prossimo 9 maggio.

La Cerimonia si terrà nella Basilica Cattedrale di Agrigento , proprio il giorno  in cui ricorre l’anniversario della visita di San Giovanni Paolo II nella città dei templi.

Lo scorso 21 dicembre, la Santa Sede, infatti, ha riconosciuto il suo martirio «in odium fidei», cioè in odio alla fede.

Papa Francesco ha, quindi, autorizzato la promulgazione del decreto nel corso di un’udienza con il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione per le Cause dei santi.
Si tratta del primo magistrato beato nella storia della Chiesa.

Per sostenere il processo di canonizzazione sono stati raccolti, nel corso degli anni, documenti e testimonianze per un totale di 4mila pagine. Tra i testimoni c’è anche uno dei killer del giudice ragazzino, Gaetano Puzzangaro, che sta scontando l’ergastolo. Il motto del giudice  Livatino era: «sub tutela dei», ovvero sotto la tutela di Dio, la sigla con cui chiudeva le sue annotazioni in agenda.

Giovanni Paolo II lo definì «martire della giustizia e indirettamente della fede».

Rosario Livatino, era nato a Canicattì il 3 ottobre del 1952.

Si era lauraeato in Giurisprudenza a Palermo nel 1975 e nel 1978 era entrato in Magistratura.

Sin dalla giovinezza frequentava assiduamente la parrocchia, dove teneva conversazioni giuridiche e pastorali, dava il proprio contributo nei corsi di preparazione al matrimonio e interveniva agli incontri organizzati da associazioni cattoliche.

Anche da Magistrato aveva continuto a vivere l’esperienza della comunità parrocchiale”.

Nel 1988 a 35 anni , dopo aver seguito regolarmente il corso di preparazione, volle ricevere il sacramento della Confermazione.

Nel corso della sua attività Rosario Livatino si occupò di quella che poi è stata chiamata la Tangentopoli siciliana, mettendo a segno numerosi altri colpi nei confronti della mafia, attraverso lo strumento della confisca dei beni.

Il giudice conduceva una vita riservata, insieme alla sua famiglia.

Aveva una grande fede cristiana che conciliava in modo rigoroso con la laicità del suo ruolo.

Il 21 settembre del 1990 si trovava a bordo della sua Ford Fiesta di colore rosso e si stava recando da Canicattì, dove viveva, al tribunale di Agrigento. È stato avvicinato e ucciso da un commando mafioso. Gli assassini, scesi da una Fiat Uno e da una motocicletta di grossa cilindrata, hanno affiancato l’auto di Livatino, costringendolo a fermarsi sulla barriera di protezione della Strada Statale.

Il giudice ha provato a fuggire, cercando rifugio nella scarpata sottostante, ma è stato raggiunto da una raffica di colpi. Livatino, come riportato sulla sentenza di condanna, è stato ucciso perché “perseguiva le cosche mafiose impedendone l’attività criminale, laddove si sarebbe preteso un trattamento lassista, cioè una gestione giudiziaria se non compiacente, almeno, pur inconsapevolmente, debole, che è poi quella non rara che ha consentito la proliferazione, il rafforzamento e l’espansione della mafia”.

Livatino  è spesso ricordato con l’appellativo del “Giudice ragazzino” che deriva dal titolo del libro dedicatogli dal sociologo Nando Dalla Chiesa, in polemica con un’ espressione dell’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga, secondo il quale i magistrati freschi di concorso non sarebbero stati in grado di affrontare indagini e processi complessi riguardanti le mafie.

Alla figura di Livatino è dedicato il film con lo stesso titolo, “Il giudice ragazzino”, di Alessandro Di Robilant, uscito nel 1994,

Nel 2006 è stato realizzato il documentario La luce verticale per promuoverne la causa di beatificazione.

Nel  2016 il documentario Il giudice di Canicattì, di Davide Lorenzano con la voce narrante di  giulio Scarpati (suo interprete nel film di Di Robilant), trasmesso il 12 dicembre 2017 su Rai Storia, ha fatto conoscere immagini inedite e nuovi episodi di vita.

E’ anche  attestato il suo impegno affinché, nell’aula delle udienze, in tribunale, ci fosse un crocifisso.

Ogni mattina, prima di entrare in tribunale, andava a pregare nella chiesa di San Giuseppe.

Diritto e Fede erano per lui imprescindibili, per questo scriveva:

“Decidere è scegliere; e scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto, per il tramite dell’amore verso la persona giudicata. E tale compito sarà tanto più lieve quanto più il magistrato avvertirà con umiltà le proprie debolezze, quanto più si ripresenterà ogni volta alla società disposto e proteso a comprendere l’uomo che ha di fronte e a giudicarlo senza atteggiamento da superuomo, ma anzi con costruttiva contrizione”.

 

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