Intervista senza complessi a Giuseppe De Pietro “Il  mestiere di fotografo e giornalista” Giornalista, fotografo, convinto ecologista. A quasi 80 anni racconta con ironia la sua storia. Che, in parte, è anche la nostra di Orietta Boncompagni Ludovisi

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Quando lo chiamo per chiederle l’intervista accetta. Ma mi chiede cosa voglio sapere. Le farei cento domande, spiego. «Cara, sono troppe, su cosa?», risponde. Sulla sua vita, ribatto. «Vabbè, allora sì, ma non voglio dirti nulla se non rispondere alle tue domande perché il resto lo scrivo io e mi faccio pagare bene dai giornali esteri », aggiunge ridendo.

Siamo seduti nell’ufficio di Roma di via Lombardia. Giuseppe De Pietro circondato da centinaia di foto e di libri con questo refrain in testa non è facile. Perché lui, quasi 80 anni li compie (il 24 gennaio), rappresenta il giornalismo dei viaggiatori, in passato nel cinema e nella moda. Ha scritto di tutto, dal viaggi, ai personaggi, dal cinema alla moda, dalla gastronomia all’arte, e tiene, da 23 anni, la direzione del web magazine “Suntime Magazine”. E non è facile anche perché mi ha chiesto di farle solo «domande brillanti». Mentre mi accomodo accanto a lui, il mio cane – Si chiama “Levante”, ce l’ho da tanti anni, ti dà fastidio?» – mi si strofina sulle gambe e si accoccola ai miei piedi. E io penso, bene, una domanda gliel’ho già fatta, preferisce i cani. E anche io amo i cani e gatti.

La sua è stata una vita meravigliosa, cinquant’anni di giornalismo e di fotografia, le hanno dato una medaglia al valore?            No, non esiste, mica sono alpino. Avrò preso solo una pergamena quella che danno a tutti i calabresi eccellenti per i 50 anni di collaborazioni per conto della stampa italiana e mondiale, ma ormai è cosa passata. Vabbè.

Cosa le ha insegnato questo lavoro?

Vivere, il lavoro di fotografo e giornalista è una delle cose più importanti per le persone che hanno sete di cultura.

Fare il fotoreporter o giornalista è un mestiere che si sceglie sin da piccoli o… capita? 

Posso parlare a titolo personale. Capita, soprattutto a chi pensa di voler fare un mestiere creativo. Dove non ci sono regole particolare e costrizioni”.

 

Quali sono gli aspetti caratteriali di cui un giornalista non può fare a meno per svolgere il suo lavoro? 

La curiosità. Parlare al pubblico (e non in pubblico)

 

Un giornalista può essere timido? 

Certo, se la timidezza rientra in un limite tollerabile. No, se la timidezza impedisce qualunque relazione sociale.

 

ll giornalista o reporter dovrebbe avere più le caratteristiche dell’artista o quelle del notaio quando scrive il pezzo? 

Io appartengo alla scuola degli artisti, in quanto ho un passato di fotografo di personaggi. Ma è minoritaria, ormai tutti preferiscono fare gli avvocati. Tanto è più importante piacere agli inserzionisti pubblicitari piuttosto che ai lettori.

 

In cosa chi fa il mestiere del giornalista può sentirsi superiore alle persone che lo circondano? In cosa può sentirsi inferiore? 

Superiore o inferiore alle persone che mi circondano non sono paradigmi a cui faccio riferimento. Dunque non so rispondere a questa domanda.

 

Quale è stata la sua soddisfazione più grande da un punto di vista professionale?

Certe lettere di semplici lettori di Suntime Magazine, che mi dicono di aver scoperto un mondo nuovo viaggiando in luoghi dove io sono stato, lontano da tutto.

 

Quale è il pezzo più bello che ha scritto? Perché?

Ah no e, l’autocelebrazione no. Non lo so, ne ho scritti tanti, e poi io non so giudicarmi.

 

Si è mai pentito di aver scelto questo mestiere ?

Due o tre volte l’anno accade. Non è più il miglior mestiere del mondo. Ma chissà se un giorno qualcosa potrebbe cambiare….

 

Quando si sveglia al mattino è felice? 

Sì, penso ad esempio, oggi devo fare un’articolo sugli futuri viaggiatori sulla luna sulla Voyager Station entro il 2025

Lei è contento se le chiedono un’articolo?

Non me lo chiedono, sono io che decido cosa voglio scrivere.

Abita a Roma, ha sempre vissuto qui a due passi del Colosseo?

No, sono nato a Catanzaro, vissuto a Nicotera, a Buenos Aires, in piccoli periodi a Rio de Janeiro e Madrid.

Ha mai pensato di trasferirsi altrove?

Sì, verso la fine degli anni 80, a Barcellona, era una città meravigliosa, con belle mostre, ma avevo una vita qui ed è andata benissimo così. All’epoca ero corrispondente della rivista spagnola “Interviù”, la redazione era nella Calle Londres.

Suo padre contadino, è morto poco dopo che nascesse suo figlio Valentino?

Sì, è così. La nostra è stata una stupenda famiglia composta da mia mamma, mio padre. Sono morti entrambi genitori, son qua solo io.

Qual è il ricordo più bello di sua madre?

Non si può delimitare, è stata una madre meravigliosa. Mi ha insegnato ad adattarmi a tutto, soprattutto all’educazione verso gli altri. Abbiamo vissuto in povertà, ma non me ne sono mai accorto. Non l’ho mai vista piangere, neanche dopo che mio padre è partito per l’Argentina, salvo quella volta che mi erano apparsi delle macchioline di pigmentazione sulla pelle e sulle mani; lei pensava fosse una brutta malattia, il medico Dott. Brancia di Nicotera allora le consigliò di seguire una decina di giorni di bagni e di sole in Marina. Lei mi ha sempre aiutato, solo una volta è stata dura.

Quando?

Ero a Roma, a quell’epoca ero stato nominato corrispondente della rivista “Personas” di Madrid. Mentre partivo da Nicotera, piangeva, voleva stare vicino a me a Roma in una casa accanto al Colosseo, ma eravamo, al quarto piano senza ascensore. Per lei significava stare sempre dentro, in quanto aveva difficoltà a fare le scale e poi c’era mio figlio piccolo, le stanze erano solo due. Erano gli anni ’90 avevo telefonato a mia madre per dirle che tornavo a Nicotera. Mi ha risposto: vieni, ma sarai solo. Fra qualche giorno andrò alla Casa di Riposo della Carità per anziani a Limbadi.

Cosa ha fatto?

Sono partito per Nicotera e la prima cosa che ho fatto era di andarla a trovare. Non era più la stessa, era triste anche se mi diceva che si trovava bene.

Cosa ha studiato?

Ero in Argentina, andavo al liceo artistico nella “Escuela Nacional de Bellas Artes Prilidiano Pueyrredón” a Buenos Aires.

Può fare un quadro per me?

No, non ero così tanto capace allora, figuriamoci ora dopo tantissimi anni, me ne sono rimasti una decina di quadri in casa, buttati nello sgabuzzino. Invece posso farti qualche foto con la mia Leica se vuoi?

Ma perché ha fatto quel liceo? 

Durava quattro anni anziché cinque. Dopo due di ginnasio, mia madre mi ha detto: tu devi lavorare. E quindi ho cambiato. Ho studiato per alcuni anni canto, o suonato la batteria con dei miei cugini che avevano insieme ad un amico genovese e i Muzzopappa, l’Orchestra San Remo.

Lei come ha reagito?

Mi è dispiaciuto molto, perché ero innamorato della musica particolarmente seguivo quella italiana. Ma, poi, ho preso il diploma.

Suo padre, cosa sognava per lei? 

Che facessi il farmacista. Ho lavorato in farmacia, ma non ho mai studiato per seguire la carriera.

Ha mai insegnato? 

Ho tentato durante poco meno di anno di insegnare fotogiornalismo , in una scuola nelle vicinanze di Pzza. Navona ma poi ho dovuto lasciare; all’epoca dirigevo la mia agenzia fotogiornalistica “De Pietro Press International Photos” collaborando con riviste di venti nazioni diversi, francamente non avevo così tanto tempo da dedicare ad altro.

Il primo lavoro?

Come ti accennavo, facevo l’impiegato in farmacia. Al mattino però, mi alzavo alle cinque per aiutare mio padre a spingere il carretto di frutta. Dal mercato fino al quartiere storico di Buenos Aires; “San Telmo” in Calle Lima ed Independencia.

La sua carriera di fotografo prima, e giornalista dopo, come è iniziata?  

Per caso. Mi ha chiamato un conoscente che avevo incontrato all’Ambasciata italiana a Buenos Aires, lui era Carlo Biaghetti fotografo della collettività italiana collaborando con giornali sia argentini che italiani. Andammo a trovarlo una domenica di giugno del 1959 mi feci accompagnare da mio padre, Biaghetti mi prese come assistente fotografo e stampatore nel laboratorio di bianco e nero.

Quando iniziò a realizzare i primi servi fotografi?

A mezzogiorno di tanti anni fa, avevo avuto l’occasione di fotografare lo spettacolo “Rugantino” durante le prove, e conobbi personalmente Vittorio Gasmann al Teatro Colosseo di Buenos Aires, poi fu la volta di Domenico Modugno dopo lo spettacolo a Radio Nacional in occasione di una sua tournée. Mi si presentò l’opportunità di fotografare anche la cantante francese Edit Piaff al Cinema Teatro “Opera” di  Calle Corrientes. Poi nel 1961 Biaghetti mi offrì l’opportunità di seguire durante la sua visitas in Argentina il Presidente della Repubblica Italiana On. Giovanni Granchi a Buenos Aires, Rosario, Santa Fe, Cordoba.

L’occasione della tua vita?

Nel 1969 invece ero andato al quotidiano “La Prensa”, aspettavo di essere chiamato per proporre alcune foto che avevo fato in giro per varie provincie dell’Argentina; mi si avvicina una collega proponendomi di fare la sera stessa, delle foto a al cantante lirico Mario del Monaco durante l’attuazione dell’”Otello”, al Teatro Colòn di Buenos Aires, l’unica raccomandazione che mi fece era di portarmi solo la macchina fotografica “Leica” e non la “Rolleyflex” quest’ultima avrebbe fatto rumore durante l’attuazione. Quelle foto erano destinate al “The New York Times”. Ne hanno pubblicata solo una, per me è stata una grande soddisfazione.

Il suo primo articolo invece?

A Mar del Plata ho conosciuto Anna Magnani insieme suo marito Golfredo Lombardi, le ho fatto delle foto ed ho scritto un articolo per il “Corriere degli Italiani” quotidiano della collettività italiana a Buenos Aires. Sempre nei giorni del “Festival del Cine de Mar del Plata” ho avuto modo di fotografare Audrey Hepburn.

Com’è andata?

Al mio ritorno a Buenos Aires, con il treno “Marplatense” ragionando, ho capito che questa sarebbe stata la mia attività per tutta la vita.

Poi è stato assunto?

No, anzi mi chiamò il capo del personale del quotidiano “La Prensa” e mi disse: qui non assumeremo mai cittadini stranieri. Quindi ho continuato a collaborare con il giornale, e contemporaneamente a lavorare nell’Agenzia Fotografica Argen Press.

Quanto guadagnava?

Non ricordo, ma all’inizio poco perché ero stato assunto come assistente. Quando mi ero affermato nella professione, di più. I giornalisti allora guadagnavano tanto, il peso argentino era una moneta solida allora.

A quotidiano “La Prensa” l’ha chiamata Jorge Abelardo Ramos il Direttore di allora?                                                                                                                       Sì, proprio lui.

Lei negli anni successivi, andava ai festival cinematografico di Mar del Plata, fotografava personaggi famosi italiani che arrivavano in Argentina, e molti servizi li completavo con gli articoli. Un po’ di tutto? 

Sì, ma quello che a me non piaceva era la cronaca nera, lo sport e la politica.

I cantanti o gruppi musicali che ha fotografato?                                                                                                                                               Caspita… Sì Ornella Vanoni, Maurice Chevalier. Ma tanti altri, ormai le ho dimenticati.

Il giornalismo è cambiato? 

Tantissimo, sì, perché è cambiato il mezzo. La carta non la vuole più nessuno, e sui social non si richiede che tu sappia l’italiano, anzi. Però si scrivono più libri e i bravi giornalisti ci sono sempre.

Che quotidiani leggi?

El Paìs, The New York TimesThe Guardian e scorro la Repubblica, Corriere della Sera, QN La Nazione. Compro alcuni settimanali, mensili come National Geographic, Natural, Dove, Bella Europa e mi piace anche il francese Vanity. Sul web L’inchiesta Il Post.

È vero che quando dirigeva l’agenzia fotogiornalistica negli anni settanta aveva come corrispondente Tiziano Terzani  dal Vietnam?

C’era anche Oriana Fallaci tra i collaboratori saltuari? Sì due volte mi ha mandato delle cose, che proponevo a “L’Espresso”. Si trattava di piccole note ed alcune foto in bianco e nero formato 13x18cm, aveva molta cultura per quel tipo di giornalismo, io non lo avevo mai fatto. Scappavo all’aeroporto di Fiumicino, aspettavo l’ultimo aereo di Air France, per ritirare il plico e portarlo il giorno dopo a “L’Espresso” in via Pò o a  “Panorama” in via Sicilia, mi avvicinavo anche a “Tempo illustrato” in via Veneto.

Era invidioso?

No, presuntuoso. Che poi se rileggo i miei articoli oggi sono brutti, come tante foto, non c’è dentro niente, parla solo di mé.

Lei scrive in prima persona? 

Preferisco il noi all’io, ma se mi riguarda lo uso.

Tra i tanti personaggi?

Ha intervistato Jean Louis Trintignat, non mi è stato difficile, l’avevo tutti giorni tra i piedi, in quanto giravamo il film “Così dolce, così perversa”  ed io facevo il fotografo di scena in quel film; avevano girato negli Studi De Paolis, a Parigi, a Punta Ala, Castiglion de la Pescaia. Ho fatto una chiacchierata con Gerardine Chaplin e l’ho anche fotografata al “Blue Bar” a Cannes.

Chi preferisce? 

Tony Curtis, con lui mi è capitata una cosa curiosa. L’ho conosciuto durante il Festival du Cinema a Cannes nel 1985, dopo il pranzo l’ho dovuto accompagnare all’Hotel Carlton, in quanto aveva bevuto qualche bicchiere di champagne di troppo e non voleva assolutamente prendere il taxi. Siamo andati a piedi dal vecchio casinò di Cannes fino al suo hotel. Quel primo giorno del festival eravamo a pranzo, riservato ai giornalisti e gli attori.

Dopo i viaggi, la musica, la moda…? 

L’ho amate pazzamente e l’ho imposta ai giornali che ho diretto quando ho potuto. I mensile, se pur piccole testate, allora, non la volevano, non avevano bisogno di soldi come adesso. I viaggi, la moda ha significato nuovi personaggi, nuovi luoghi dove viaggiare, la Roma di Pasolini, di Craxi: allora era società e ha fatto tanto per l’economia italiana. Ma il giorno in cui una stilista mi fermò alle sfilate e mi disse: tu hai dedicato più righe ad Armani che a me, mi si riferiva alla rivista che dirigevo a cuoi tempi; “Euro Sposi”, non ho più scritto.

Lo stilista che più ha amato? 

Nessuno. Troppo finti, mi dicevano adorato, meraviglioso. Mi adulavano. Il giorno in cui ho smesso di scrivere non ho più ricevuto non dico alcuni prodotti, ma neppure gli inviti. Certo Capucci e Lancetti erano fantastici uomini coltissimi.

L’altra sua grande passione è il cinema…?

No, io non ho grandi passioni. Mi va bene tutto. Mi piace l’opera, andare alle Terme di Caracalla in estate, ai Festival di San Remo. Mi piace anche leggere. Vedi… (in casa ho centinaia di volumi e fotografie sulle librerie).

Questi libri e foto che fine faranno? 

Li do agli amici quando capitano.

Va ancora molto al cinema? 

Poco, dopo la pandemia, vado soltanto alle anteprime per la stampa; Amica, Casa del Cinema, Space Cinema.

Divano o grande schermo? 

Tutte due.

Lei è digitale? 

Uso il computer per lavorare e lo smartphone per i social, Instagram e TikTok, che mi diverte molto. E per vedere le serie tv. E non mi chieda quali, ne vedo talmente tante…

Va bene. Allora i film della vita?

Barry Lindon, l’avrò visto 10 volte in passato, Il nastro bianco e – non lo dovrei dire perché mi sgridano, ma a me piace tantissimo – Il marchese del Grillo.

Cannes o Venezia, quale Festival sceglie? 

Tutti e due, Cannes è glamorous, mondanamente stupendo. Venezia ha la scelta dei film più belli del cinema. Mi hanno raccontato che a Cannes lei aveva un pass stampa provileggiato che le permetteva di arrivare ovunque, sedersi per prima e intervistare tutti.

È vero?

No. La gente se ne inventa di ogni colore. Certo, è ovvio, con 10mila giornalisti e 300 posti, ci sono delle precedenze.

È vero che ha finto di svenire per intervistare Roger Moore? 

Sì, ci sono riuscito e lui è stato anche molto simpatico, partecipai alla cena per la presentazione del suo film senza avere l’invito.

Alain Delon, l’ha mai conosciuto? 

No. Ho conosciuto bene Antony Delon, sono stato invitato ad una serata in occasione del suo compleanno all’Hotel Negresco di Nizza, accanto a me c’era Charles Aznavour non più famoso come lo fu in passato.

Ha tante amiche attrici?

Nessuna. In passato qualcuna l’ho avuta, anche attori. Come registi sì, ma solo conoscenze nei primi anni settanta sono stato in casa di Michelangelo Antonioni e di casualità, al Teatro N°5 a Federico Fellini, a me ed ad un suo amico ci invitò al bar a bere un caffé.

L’attrice di cui si è innamorata?

Nessuna, sempre avuto e voluto solo i miei amori. Come fotografo e giornalista sono indifferente, se non vuoi essere additato tra gli addetti ai lavori come “quello che ci prova”.

Non ci credo. E lei risulta indifferente? 

Fino a 30 anni fa la gente mi fermava per la strada, mi riconosceva perché l’avevo fotografato oppure leggeva i settimanali e mensili, adesso se non sei un influencer non sei nessuno.

Lei però scrive ancora molto, vero?

Sì.

Non è in pensione?

Sì, da 30 anni, ma ho sempre continuato a lavorare con una pensioncina.

Il 9 ottobre 1992 la Casa Editrice Curcio che pubblicava “Mondo Cucina” le affidava la rubrica Le Ambasciatrici in cucina”. La leggevo sempre e non lo dico per adularlo… Non ci riuscirebbe.

Io voglio stare nel mio angolino al buio, fare le mie cose e basta.

Riceve sempre tante lettere? 

Tante prima, quasi nessuna.

Dove le archivia tutte?

In scatole. Molte sono finite anche nei libri. Le più interessanti sono quelle vecchie, scritte a mano, che arrivavano con la busta, oggi le ricevo quasi tutte via mail e quelle le butto quasi tutte (mi mostra il cestino pieno).

Ma chi scrive a Suntime Magazine?

Sempre più donne ma anche uomini e meno di viaggi lontani, perché i nostri lettori ormai sono vecchi. O forse ci saranno anche i giovani, ma non scrivono. Salvo Roberta.

Chi è Roberta?

Non lo so, non mi ha più scritto. Gliene ho detto quattro. Ma questi giovani si devono informare. Pensare che oggi è semplice, basta cliccare e appare Wikipedia, anche se con errori. Io, invece, dovevo andare a documentarmi in qualche libro, talvolta anche studiare.

Dei suoi amori chi ricorda di più?

L’ultimo, Clara (mia moglie), l’ho amata per 50 anni, senza mai dimostrarglielo. Se penso alla vita li ricordo tutti, ma se penso all’amore solo a lei.

Oggi siete separati, come mai?

Sono stato io. Non so perché: non ero né pro né contro.

È pentito? 

No.

È pentito di avere avuto solo un figlio?

Nooooooo, però se lo stato, ci fosse venuto più incontro, forse un’altro. Sì.

Cucina? 

Mi piace, di più la cucina creativa.

ll piatto preferito?

Tutto.

Cosa mangia stasera? 

Riso ai funghi porcini.

Insieme a un bicchiere di vino? 

Sì, vino rosso. Avvolte alterno ad una buona birra scura.

L’hanno definito giornalista eclettico, ed un buon fotografo. Lei come si definisce?

Forse.

Il miglior complimento che ha ricevuto? 

Non lo so, e credo che queste cose si inventino, una ragazza quando ero ad Helsinki, mi disse; “che ero bello come il sole”.

Le piace ridere?

Sì, raramente sono arrabbiato. Ma oggi la gente ha poca ironia e sghignazza.

Il pregio principale?

Mia moglie mi dice che sono sempre di buonumore.

Il difetto? 

Non ne ho. (Ride). Forse si, mi fido troppo della gente, ma, poi, pago ogni volta, le conseguenze.

Ha dei rimpianti?

Sì, con il genere di lavoro che ho fatto, quello di aver perso almeno 20 anni di sesso. La mia generazione è stata fregata, era sessuofoba.

Ha paura di qualcosa? 

Del momento in cui si passa dalla vita alla morte, credo sia bruttissimo, se hai ancora la testa per rendertene conto, ovviamente. Della morte no. Sei morto.

Crede in Dio? 

No.

E cosa crede che ci sarà dopo? Rispetto tutte le religioni, sono stato appassionato di storia delle religioni. Ma sono ateo e penso che il mondo finirà, o, per lo meno, questa galassia è destinata a finire e stiamo facendo di tutto perché questo succeda.

Di chi si fida oggi?

Di certi uomini veri come Mario Draghi. Ma purtroppo l’anno fatto fuori dal Governo. Avrei voluto scrivere una lettera per esprimergli la mia fiducia e dirgli che deve avere la pazienza di sopportare questa gentaglia che ha attorno e che pensa solo alla sua poltrona, ma ormai è andato.

L’età le ha dato saggezza?

No, mai stato saggio. Solo indifferente. Penso pochissimo a me.

Lei ha scritto un libro?

Già prima del 2000, racconto la civiltà contadina a Nicotera negli Anni cinquanta. Ne vado fiero è: “Nicotera, una volta” , che mi hanno anche scopiazzato.

Chi lo ha editato? 

Nessuno! Le persone che potevano aiutarmi non l’anno fatto soprattutto per invidia. E’ una prerogativa dei calabresi.

Si è mai sentito discriminato come uomo? 

No, se mai avvantaggiato. Pensa che a uno dei periodici che ho diretto negli ultimi anni, poco dopo l’entrata dell’euro, l’Editore mi hanno raddoppiato lo stipendio. Forse perché lei era una donna?

Perché ci sono ancora differenze? 

La natura vince. Non la puoi negare.

Come mai gli uomini di colpo mettono una divisa, stuprano e ammazzano? 

Prima certo anche i ragazzi russi bevevano vodka e scopavano le ragazze. Che cosa è cambiato?

La parità non ci sarà mai? 

Non lo so, qualcosa sta cambiando. Le donne sono coraggiose, più di noi uomini, solo il fatto che mettono al mondo i figli, la forza della natura. E poi cosa vuol dire parità?

Cosa pensa?

Ha detto stupidaggini. Ma guardo il lato positivo: finalmente troveranno lavoro le donne non più giovani che nessuno vuole. Se io fossi una donna cinquantenne direi: grazie signore, mi assuma. Basta ipocrisie.

Quali ipocrisie?

Anziché continuare a parlare del corpo le donne devono chiedersi perché sono pagate meno. O peggio perché oggi tutti, uomini e donne, sono pagati meno.

Look sempre uguale, passando dal sobrio ai colori sgargianti specie in estate? 

Sì, da giovane, però, avevo i capelli lunghi. Spezzato giacca e pantaloni non manca mai con una camicia e cravatta dai colori allegri, che li cambio spesso. Mi hanno portato via una foto di me quarantenne con un bel cappello e stivali, mi manca perché sulla mia tomba…

Quindi, una tomba?

No, voglio essere cremato.

E le ceneri, sparse da qualche parte? 

No, nel cesso. Chi mi vuol bene mi vorrà bene lo stesso.

Si rimane nel ricordo delle persone?

Dipende sia dalle persone che da te: se è una persona stronza sono ben contento di dimenticarla.

Lei ha conosciuto vari Presidenti della Repubblica: quale sceglie?

Sandro Pertini perché era autentico, fuori dagli schemi. Era una mente sottile, manteneva in equilibrio un Paese con troppi stupidi.

Ma perché sulla sua carta d’identità non aveva voluto far scrivere “giornalista”?

Perché io sono una persona, non un giornalista. Io sono Giuseppe De Pietro, giusto?

 

 

 

 

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