Catalogna: ancora alta tensione dopo il voto anticostituzionale di ieri.

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Da un lato la Costituzione spagnola del 1978 che proclama chiaramente l’indivisibilità della nazione iberica e dall’altro il 42% dei catalani che si sono comunque recati ai seggi, una percentuale non trascurabile visto il clima in cui si è votato nonostante siano molti di meno del 59% che si recò all’urne nell’ormai lontano 1979, quando venne approvato lo statuto di autonomia della Catalogna. Nel mezzo, un problema di ordine politico che investe la Spagna ma anche tutta l’Unione Europea.

Regione da sempre ribelle al centralismo madrileno, la Catalogna ha una una grande autonomia tanto che il catalano stesso è riconosciuta lingua ufficiale della regione assieme al castigliano ma vorrebbe di più. I Paesi Baschi – altra regione da sempre fortemente fiera della sua distinzione con il resto della Spagna – infatti hanno consigli provinciali che godono di piena autonomia fiscale, riscuotendo le imposte e trasferendo poi somme separate al governo basco e a quello centrale.

I partiti nazionali – socialisti e popolari seppur con diverse sfumature – si oppongono a concedere ulteriore autonomia alle regioni il cui bilancio peraltro è assorbito al 50%, da sanità, istruzione e assistenza sociale – percentuale questa che arriva al 70% in Catalogna – e mentre i debiti dei comuni, nel periodo peggiore della crisi – 2007/2011 – sono cresciuti da 28.9 milioni di euro a 36.8 milioni di euro, quelli accumulati dalle regioni sono schizzati da 58.9 a 145.1 milioni di euro. Inoltre, si è assistito alla moltiplicazione di enti e poltrone a fini clientelari come dimostra l’aumento di 500mila impiegati pubblici negli enti regionali, nel generale collasso occupazionale che la Spagna ha subito e dove ancora la disoccupazione è ancora alla drammatica cifra del 17.6%.  E non manca chi dice pure che 17 comunità autonome sono troppe per un paese di 40 milioni di abitanti quando la Germania con una popolazione doppia ne ha solo 16.

Anche il percorso scelto dalle autorità di Barcellona – non concordato con le autorità centrali come hanno fatto gli scozzesi che poi peraltro hanno deciso di rimanere dentro il Regno Unito – non è certo accettabile. La Legge del referendum per l’indipendenza, quella su cui si è basata la votazione di ieri, è stata votata dal Parlamento catalano senza la maggioranza dei due terzi richiesta per la modifica dello Statuto di Autonomia della Catalogna, e senza avere ottenuto il parere preventivo del Consell de Garanties Estatutàries, il Tribunale Costituzionale della Catalogna, l’organo che controlla la legalità delle leggi approvate dalla comunità autonoma.

Il governo madrileno quindi ha scelto la linea dura ma – costituzione e leggi alla mano – non poteva fare altrimenti anche se ora molti si chiedono se l’aver mandato la polizia a caricare uomini e donne inermi possa aver irrobustito il fronte indipendentista. Un governo che peraltro sconta una su debolezza in quanto si regge in parlamento non solo sull’accordo tra Popolari e il partito liberale Ciuadadanos ma anche sulla benevola astensione dei socialisti.

Adesso ad urne chiuse il premier catalano Puigdemont ha annunciato che convocherà il parlamento regionale per dichiarare la proclamazione di indipendenza. A questo annuncio che segnerebbe un ulteriore rottura con Madrid, il governo spagnolo potrebbe rispondere applicando l’articolo 155 della Costituzione che, previo assenso del Senato, la seconda camera del parlamento iberico, si può sollevare lo stesso Puigdemont dall’incarico “ove le Comunità Autonome non ottemperino agli obblighi imposti dalla Costituzione o dalle altre leggi, o si comportino in modo da attentare gravemente agli interessi generali della Spagna”.

Un altra soluzione potrebbe essere la convocazione di elezioni regionali anticipate onde verificare se i partiti indipendentisti raccolgono ancora la maggioranza dei consensi come avvenne nel 2015. Gli ultimi sondaggi infatti davano il 37.8% alla coalizione governativa indipendentista (PDeCAT e Esquerra Republicana de Catalunya) contro il 17% dei liberali di Ciudadanos, il 10.8 del Partito Popular e il 13.7% dei socialisti del PSOE (Tutti e tre i partiti si oppongono – lo ricordiamo – all’indipendenza della Catalogna) mentre la sinistra radicale di La Catalunya Sí que es Pot era data all’11.6% e gli ultraindipendentisti di sinistra del CUP al 6%. 

L’Unione Europea intanto ha liquidato la questione come un affare interno spagnolo e ha fatto sapere che un eventuale Catalogna indipendente non sarebbe automaticamente accettata all’interno della famiglia comunitaria.

 

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