Tante sono le testimonianze storiche, architettoniche e artistiche presenti nella Piana del Tauro, tra queste un posto di rilievo spetta sicuramente alla “Villa Cordopatri”, meglio conosciuta come
“Villa Sant’ Antonio”, in onore del Santo a cui è dedicata la cappella gentilizia , che si trova alla sinistra dell’androne centrale del corpo principale della dimora e dove ogni anno, il 13 giugno, la famiglia Cordopatri si riunisce per la celebrazione di una Santa Messa.
L’ antica dimora anche oggi si presenta nella sua veste architettonica ottocentesca, è ubicata
nell’ hinterland tra Gioia Tauro e Rizziconi.
Fu un tempo una piccola popolata comunità curtense al punto che al suo interno vi erano piccoli negozi, aule scolastiche e la fermata( ancor’ oggi presente) dei treni dell’antica Ferrovia Calabro –Lucana.
L’insediamento risale come sua prima epoca di edificazione al XIII secolo, per opera di Sigismondo Capece, un nobile napoletano, ghibellino, rifugiatosi in Sicilia per sfuggire alle persecuzioni degli Angioini con il nome(per la sua capigliatura), di “Rizzo Cor Do Patri”, (parole tratte da un motto dell’epoca), e poi arrivato in Calabria nel 1269, dove fondò Rizziconi dandogli il suo nome ( infatti Rizziconi deriva dal latino “rizzi conit”, tradotto “fondata da rizzo”) e successivamente la dimora dove si stabilì con la moglie Beatrice di Loria, figlia del duca di Terranova grande ammiraglio della flotta normanno-sveva.
Rizzo Capece “ Cor Do Patri” fondò inoltre altri insediamenti appartenuti alla stessa famiglia, dei quali oggi- come la Fabiana- rimane solamente la memoria storica.
La dimora come la vediamo oggi non è più quella originaria del 1300, perché nel tempo è stata ristrutturata, anche a causa dei terremoti del 1783 e del 1908.
Nel 1783, subito dopo il sisma, fu il punto di riferimento di tantissimi sfollati che, grazie alla bontà dei baroni Cordopatri si stabilirono, formando un piccolo villaggio.
Alla villa si accede attraverso un alto cancello, oltrepassando l’adiacente binario delle dismesse ferrovie Tauriensi.
Alla fine di un largo viale ci si ritrova di fronte al corpo centrale del palazzo , dove vi erano gli appartamenti occupati dal Barone e dai suoi famigliari.
Il corpo principale della villa presenta delle linee architettoniche semplici, tipiche dell’Ottocento e del primo Novecento che si devono ai restauri compiuti dopo il terremoto del 1908, che però non alterarono l’originale impostazione seicentesca con l’ampio androne d’ingresso a galleria con le porte d’accesso ai vani sulle pareti laterali e nel proseguo un giardino originariamente concepito per offrire fra la lussureggiante vegetazione oasi di frescura nei pomeriggi delle torridi estati.
La struttura, su tre ali, presentava in basso al centro un maestoso cancello in ferro battuto.
All’interno del corpo centrale troviamo delle grandi stanze bianche con delle particolari decorazioni architettoniche nel punto dove i muri confluiscono nel soffitto blu, decorato per intero da grande fregio affrescato a forma di parallelepipedo.
Sul lato della cappella, si vede una torretta con tre campane, e su una di queste vi è uno stemma: un cuore, simbolo del casato dei Cordopatri, con dentro tre brocche a simboleggiare la parentela coi Pignatelli, il tutto è sormontato da una corona simbolo di nobiltà, mentre sotto il cuore, per scopi esclusivamente ornamentali, vi sono due rami d’alloro legati da un fiocco.
Sul retro dell’edificio invece, vi sono alcune stanze adibite a stalle, cantina, frantoio e quant’altro serviva per la vita al lavoro dei contadini.
A fianco del palazzo c’è un’altra struttura, dai vezzi liberty, una sorta di chalet o una casina per la caccia, nella quale si svolgeva vita di società, si conservavano le armi nelle rastrelliere e veniva usata anche come dimora per gli ospiti.
All’interno dello chalet che in verità ha bisogno di urgentissimo restauro, sono ancora visibili molte delle
decorazioni, bellissimi dipinti su carta che rappresentano scene di caccia.
Sia all’interno del palazzo nobiliare, che dello chalet la maggior parte delle scale dei soffitti e dei tetti, è costruita in legno.
I due edifici sono circondati da case coloniche, ormai diroccate, un tempo abitate dai mezzadri al servizio della famiglia.
Si narra che ogni notte di venerdì e martedì si aggiri nella villa un fantasma di un signore che, in un tempo remoto era stato uno dei guardiani.
Passeggiare all’interno della dimora è un sogno che profuma di storia.
A primavera il profumo degli ulivi, delle margherite e dei gigli ammaliano i sensi e il visitatore si ritrova proiettato indietro nel tempo osservando la sobria eleganza della villa o passeggiando fra le schiere di case destinate ai fittavoli, sembra ancora di udire le voci dei contadini, lo scalpiccio dei passi, il rumore degli zoccoli dei cavalli e il cigolio delle carrozze.
Di recente all’interno della villa sono state girate delle scene per una fiction televisiva, mentre chi scrive ha ambientato nella villa evocatrice di mille suggestioni anche una parte del romanzo “Il Segreto delle pietre”.
Sarebbe bello che Villa Cordopatri tornasse all’antico splendore.
Sarebbe bello che le future generazioni potessero percepire come in un tempo lontano, un nobile illuminato, avesse accolto e compreso l’importanza di assicurare ai contadini e ai loro figli condizioni migliori che nel piccolo mondo antico della villa, un microcosmo delimitato dai muri e cancelli assicuravano ai dipendenti condizioni di vita di gran lunga migliori di quelle dei contadini che vivevano nei paesi del contado in oscuri abituri e tuguri senza la possibilità di istruzione per i bambini: condizioni che invece all’interno della villa erano state rese possibili dai discendenti di Rizzo, anch’essi con un grande cuore e una grande sensibilità verso i deboli: come nel loro stemma araldico.
Un giorno, forse questo avverrà.
E forse sarà possibile poterla “usare” come sede di eventi culturali, che restituiscano alla silente struttura l’antica vitalità.