L’ex vicesindaco La Torre: Il cambio di denominazione non poteva essere un atto d’imperio

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Nel dopo referendum si incrociano soddisfazioni ed amarezze. Rientra tutto nella normalità. Sull’esito del voto, comunque, s’è attivato il lavoro di analisi e commento. A manifestare il proprio pensiero in un’articolata nota è anche Gianfranco La Torre, ex vicesindaco e fermo oppositore al cambio di denominazione dell’ente.   <La vittoria del “no” al referendum dello scorso 26 marzo – esordisce – conferma in pieno la validità degli argomenti messi in campo dal nostro fronte. Anzitutto, non si può pensare di cambiare da soli il nome di un Paese. E’ evidente che la maggioranza dei ricadesi non ha digerito l’atto d’imperio del consigliere regionale del luogo. Il quale, invece di parlare sbrigativamente di ‘occasione persa’ , farebbe bene a riflettere sul suo errore. Spiace non abbia ancora metabolizzato che la politica è anzitutto dialogo per cercare condivisione di idee e di progetti. In secondo luogo, la maggioranza dei ricadesi ha dimostrato di non gradire i contenitori vuoti. Capo Vaticano è si il nome che ci rende famosi in Italia e nel Mondo. Ma ad oggi resta un brand turistico>.

gianfranco la torre
Gianfranco La Torre

La Torre insiste anche con altre riflessioni. <Un nome – dice – che non tocca il cuore della nostra gente. Quale occasione persa? Quella di cambiare la cartellonistica? Chi non vive qui può favoleggiare quanto vuole. Ma chi vive a Ricadi non ha mai visto, da 40 anni a questa parte un barlume di politiche pubbliche per il territorio. A fronte di un imprenditoria privata che si è sviluppata a dismisura – e sicuramente ha portato benessere – non abbiamo mai avuto un parallelo sviluppo dei servizi ai cittadini e ai visitatori. I trasporti sono all’anno zero. I servizi socio-assistenziali e sanitari latitano persino d’estate. Le strade comunali, a parte la circonvallazione di Ricadi, sono rimaste quelle di una volta. Abbiamo una meravigliosa valle dei Mulini e nemmeno una stradella per arrivarci. Le reti idriche sono un colabrodo. Di depuratori all’altezza delle moderne tecnologie non se ne parla e di un efficiente sistema di collettamento fognario nemmeno. Ancor di più sono mancate politiche pubbliche per valorizzare ‘Capo Vaticano’. Per esempio, una piazza – mercato, un anfiteatro oppure un palazzo del turismo. A parte una pietra nel mezzo di Viale Berto, non esiste nemmeno una toponomastica del luogo. A questo, anziché al cambio di nome, avremmo dovuto pensare in tutti questi anni>.

La sua analisi spazia a tutto campo. <Guardiamo a Tropea – afferma –  dove ogni via è vocata al turismo. O a Pizzo, che ha valorizzato i suoi beni culturali. Queste poche righe siano un’occasione di riflessione per la nostra amministrazione comunale e per il suo riferimento politico alla Regione, i quali, da quanto si dice e si legge, si sono impegnati a fondo per il SI.  I dati – aggiunge –  che riflette loro questo referendum sono stata la scarsa partecipazione del popolo, per nulla appassionato dalla disputa, e una sconfitta che agli osservatori esterni appare incomprensibile ma qui era quasi scontata>. E non mancano gli inviti ads un diverso modo di operare sul territorio. <Che parlino di più con la gente – conclude – e possano comprendere i veri bisogni di Ricadi. Che cerchino di riequilibrare l’enorme gap fra gigantismo privato e nanismo pubblico. Che provino a rendere accessibili le spiagge a chiunque. Che non facciano sentire i possessori di seconde case come ospiti indesiderati. Che provino, se sono capaci, di reperire finanziamenti regionali per costruire un’opera pubblica nel cuore di Capo Vaticano. Si viene ricordati per questo, non per aver cambiato un nome a un comune. Altrimenti, saranno ricordati per non esserci riusciti>.

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