L’Abaya nero, la tunica a sacco, indossato a rovescio. La protesta delle donne saudite.

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Iniziativa sovversiva o atto di liberazione?

L’Abaya nero indossato alla rovescia
Le donne saudite tornano ad alzare la voce e a reclamare diritti che molto spesso, al contrario di quanto si crede in Occidente, non sono negati o imposti dalla religione islamica -che femminista non è- ma da tradizioni tribali fatte diventare leggi dalla dinastia Saud, che sta ormai svelando al mondo o suoi lati peggiori su troppi fronti. Con una originale forma di protesta le saudite da alcuni giorni postano su twitter, ‘astag #insideoutabaya’ foto dell’Abaya , la tunica/sacco nera dentro cui sono costrette in pubblico, indossato però alla rovescia, cuciture in vista e niente d’altro, s’intende, ma è protesta e clamorosa, il rifiuto dell’abbigliamento imposto loro dallo stato.
Una protesta che sta avendo una risonanza mondiale. «Poiché le femministe saudite sono infinitamente creative, hanno escogitato nuove forme di protesta e su #insideoutabaya stanno postando immagini in cui indossano in pubblico l’abaya alla rovescia come obiezione silenziosa alla pressione per indossarlo», ha scritto ‘@Ana3rabeya’, l’attivista Nura Abdelkarim. Altra identità segreta segnalata da Michele Giorgio, Nena News, @Sadax1, Athena: «Siamo donne che rifiutano tutti i costumi e le leggi che offuscano la nostra esistenza e la nostra identità». Alla campagna si è unita anche Malak al Shehri, arrestata nel 2016 dopo aver postato una foto in cui appare con i capelli scoperti, senza velo.

Ipocrisia al potere il clero wahhabita

Le donne in Arabia saudita, schiacciate dall’alleanza tra il rigidissimo clero wahhabita e la dinastia Saud, obbligate ad indossare in pubblico un abaya, un lungo camice nero che copre tutto il corpo eccetto la testa, i piedi e le mani. Per la testa un altro indumento, il niqab, che la copre tutta eccetto gli occhi. Ed anche le donne straniere hanno l’obbligo dell’abaya in pubblico, solo che le nostre reporter le possono esibire col vanto di una divisa da trincea per poi tornare ai jeans.
Va subito precisato che queste regola apparentemente assurde, sono fatte osservare con pugno di ferro dalla ‘muttawia’, la polizia religiosa agli ordini del ‘Comitato per l’imposizione della virtù e l’interdizione del vizio’, impegnata anche ad impedire la «promiscuità» in tutti i luoghi pubblici. Le donne saudite anche sui social non possono mostrarsi senza l’abaya. «Ne sa qualcosa la modella Khulood arrestata nel 2017 per essere apparsa in un video in shirt e minigonna mentre camminava in una fortezza storica nel villaggio di Ushaiqer», aggiunge Michele Giorgio. Donna essere minore a cui è vietato aprire un conto bancario, richiedere un passaporto e viaggiare all’estero senza il permesso di un uomo. Ogni donna deve avere un tutore di sesso maschile.

#insideoutabaya contro il principe

La campagna #insideoutabaya è anche una protesta contro il principe ereditario Mohammed bin Salman, coinvolto nell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi. L’erede al trono, che i media occidentali avevano frettolosamente dichiarato ‘innovatore’, prima di occuparsi nel modo ormai noto del dissidente Khashoggi, aveva annunciato l’alleggerimento delle norme sull’abbigliamento femminile, udite udite. «Le leggi sono molto chiare e stabilite dalla Sharia: che le donne indossino abiti decorosi e rispettosi, come gli uomini» aveva detto Bin Salman alla tv, «e la Sharia non specifica in particolare un abaya nero». Libertà di colore, era l’innovazione democratica rivoluzionaria promessa. Con due avalli reliiosi di massimo livello: Ahmed bin Qassim al-Ghamdi e lo sceicco Abdullah al Mutlaq del Consiglio degli studiosi anziani hanno affermato che la Sharia non impone l’abaya e neppure che sia solo di colore nero. «Oltre il 90 per cento delle pie donne musulmane nel mondo musulmano non indossano l’abaya, quindi non dovremmo costringere le persone a indossare gli abaya», ha spiegato al Mutlaq.

Principe incerto e trono traballante

«Alle belle frasi del principe e dei due religiosi non sono però mai seguite decisioni ufficiali, nero su bianco, e la maggiore libertà per le donne saudite, almeno nell’abbigliamento, è rimasta una affermazione vuota e incompiuta», scrive il Manifesto. L’ambiguità politica (e non solo) di Mohammed bin Salman, di fatto già a capo del regno da quando è stato nominato erede al trono dal padre, re Salman.
Giusto ricordare, sul fronte del riscatto femminile in quel Paese che definire maschilista diventa un complimento, a giugno, su impulso sempre dello stesso Mohammed bin Salman, è stato finalmente concesso alle donne di guidare l’auto, in accoglimento di una battaglia durata quasi trent’anni. Subito seguito, a calmare le acque per eccessive futuro pretese, dall’arresto di alcune fra le più note attiviste saudite dei diritti delle donne.
Ma adesso il principe ereditario pare doversi occupare di problemi ben più gravi e di riflesso tutto personale, su come rischiare di perdere in un colpo solo regno per se, se non addirittura, per tutta la pletore di 7000 principi cugini dei Saud prolifici e petroliferi.

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