Intelligence, Alfio Rapisarda (ENI) al Master dell’Università della Calabria. Lezione su “Sicurezza aziendale ed interesse nazionale”. L’ENI in prima fila nel contrasto al Covid-19.

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 “La sicurezza del paese ha tante sfaccettature e la
chiave per ricongiungerle è la Sicurezza Nazionale”. Così è iniziata la
lezione di Alfio Rapisarda, Vice President Security dell’ENI, tenuta, in
video conferenza, al Master in Intelligence dell’Università della
Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
Rapisarda ha compiuto un rapido excursus storico dell’Eni, che
attualmente lavora in 66 Paesi nel mondo ed è un’azienda strategica non
solo per l’Italia ma anche per le Nazioni in cui opera.
L’Eni nasce come ente pubblico dello Stato italiano nel 1953.
Nel 1946, Enrico Mattei, deputato alla Costituente, è incaricato dal
Governo per dismettere l’azienda, verosimilmente su volere
dell’amministrazione USA. Mattei, invece, di parere differente, riesce
nell’intento di scoprire e sviluppare giacimenti petroliferi in Italia,
dando vita a una politica di sostegno alla ricostruzione del Paese che
aveva bisogno di importanti fonti di energia.
Rapisarda ha detto che l’Eni è annoverata tra le prime 500 società private
più quotate al mondo e conta quali maggiori azionisti Cassa Depositi e
Prestiti S.p.A con il 25,76% delle azioni e il Ministero dell’Economia
e delle Finanze con una quota del 4,34%, mentre il resto è collocato sul
mercato internazionale.
“La mission di Eni – ha precisato Rapisarda – è già allineata con i
principali obiettivi dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, tenendo
conto di un importante processo di trasformazione organizzativa ed
industriale già avviata per favorire una reale transizione energetica che
gradualmente permetterà di modificare lo sviluppo industriale insieme al
nostro stile di vita.
Una trasformazione che dovrà tener conto dello sviluppo sostenibile dei
popoli cui ancora oggi è negato l’accesso all’energia, nonostante molti di
questi paesi siano in realtà ricchi di materie prime e di petrolio, cui,
paradossalmente, non hanno sufficientemente accesso, come ricorda anche
l’economista Dambisa Moyo nel suo libro “La follia dell’Occidente”. E
questo tenderà ad aumentare le distanze planetarie, determinando, nei
prossimi decenni, migrazioni ancora più massicce”.
Eni ha alle proprie dipendenze nel mondo circa 32 mila addetti, dei quali
più di 10 mila all’estero.
“Per Eni la sicurezza è un imperativo obbligatorio – ha proseguito il
docente – senza il quale nessun business è giustificato. È una cultura che
in Italia tarda ancora ad imporsi tra gli imprenditori e gli operatori
commerciali. L’unico modo che abbiamo ancora oggi per identificare la
sicurezza aziendale a livello legislativo è fare riferimento alla
sicurezza sul posto di lavoro, dove si continuano ancora a verificare un
numero insostenibile di “morti bianche”. E la mancanza di legislazione
adeguata fa si che in molte aziende il settore della security sia ancora
troppo sottovalutato e spesso si agisce quando è già troppo tardi. La
responsabilità penale societaria prevista dal decreto 231/2001 e i rischi
reputazionali e di immagine non hanno prezzo.
Eni affronta questo tema da molti anni, e grazie al forte indirizzo del
vertice aziendale, la security è una prerogativa che crea valore e
favorisce quello che ci piace definire un “business responsabile” dove
tutti sono consapevoli dell’importanza della tutela delle nostre persone e
ciascuno di noi contribuisce alla tutela dell’azienda. Grazie a questo
approccio, la security di Eni ha sviluppato una organizzazione robusta e
strutturata con competenze di diversa estrazione, composta per l’80% da
personale non proveniente dagli ambienti militari (contrariamente a quanto
si potrebbe pensare), bensì con background legale, di audit, di business,
di geopolitica internazionale, vale a dire un insieme di competenze che
permette di governare un sistema di Risk management globale che è il cuore
di una funzione security”.!
” La security – ha proseguito – deve necessariamente essere un must
per tutte le imprese, piccole o grandi che siano, tanto da diventare nei
prossimi anni anche uno sbocco occupazionale importante, con un ruolo
chiave del mondo universitario nella formazione di nuove competenze.
Il docente ha poi parlato “dei principali rischi per la security, a
cominciare dal terrorismo internazionale che fino a qualche tempo fa era
erroneamente considerato un evento confinato in specifiche parti del
mondo. Infatti, quando, a partire dal 2013 il terrorismo di matrice
islamica ha investito l’Europa, ci siamo tutti resi conto che il rischio è
vicino a noi. Questo accresciuto bisogno di sicurezza della comunità ha
permesso alla security aziendale di investire in prevenzione, sviluppando
modelli di supporto per fornire mirate valutazioni sulle minacce,
accorciando i tempi di risposta all’emergenza che è vitale nei tempi della
globalizzazione mediatica, della estrema mobilità internazionale e della
pervasività della criminalità. Nel caso di Eni, con un altissimo numero di
dipendenti in viaggio ogni giorno attorno al globo, diventa fondamentale
tracciare ogni segnale di rischio per fornire rapidamente informazioni e
supporto a tutte le persone”. Rapisarda ha poi affermato dicendo che
“quella di oggi è una security che sta evolvendo: ieri, era legata a
singoli aspetti e principalmente alle strutture fisiche; oggi, con la
rapidità degli sviluppi del business e la grande dimensione del web,
questi aspetti hanno esaltato il bisogno di tutela delle informazioni e
dei dati che viaggiano nel virtuale, alle macchine guidate da automatismi
sempre più evoluti ed a noi stessi, sempre più affamati di connessione.
La security ha assunto anche una dimensione di cyber defence, nella quale
insieme allo sviluppo delle tecnologie di difesa, continua a rimanere
centrale l’elemento umano in grado di qualificare ma anche di vanificare
gli strumenti di tutela cibernetica.
“L’esigenza di tutela cyber e la estrema rapidità di diffusione della
minaccia – ha detto il docente – rende necessaria la collaborazione tra
aziende e Istituzioni. E’ un tema ancora in embrione, poiché il sistema di
difesa nazionale si sta formando un po’ a rilento e con poche risorse,
ad indubbio vantaggio di chi del cybercrime ne fa un mestiere. Si inizia
peró ad intravedere una nuova generazione, spesso composta da
giovanissimi, che dal loro pc sono grandi esperti della rete e delle
minacce che essa può celare. Eni ha avviato tre anni fa una unità di cyber
intelligence per concorrere ad individuare con altri settori
dell’azienda l’andamento delle minacce cyber nel mondo e comprendere
le vulnerabilità che vanno eliminate per protegge l’intera infrastruttura
ed i processi aziendali. E questo, soprattutto se la tutela riguarda
infrastrutture critiche, minacciare da entità criminali, pseudo-statuali
ed economiche.
E questo non va a tutela delle sole imprese, ma anche della sicurezza delle
comunità, dell’organizzazione sociale, fino a lambire anche la sovranità
nazionale”.
“È qui – ha proseguito – che si esalta la simbiosi tra tutela degli
interessi aziendali e tutela degli interessi nazionali, nelle quali
l’interesse privato si coniuga con l’interesse comune, come in molti paesi
che “fanno sistema” per tutelarsi. Nel caso poi di una multinazionale come
Eni è necessario duplicare questo senso di partnership pubblico-privato in
ciascuno dei paesi in cui si opera mediante consolidati meccanismi di
dialogo con tutte le controparti. Due sono i temi importanti: sviluppare
una vera cultura dell’Interesse Nazionale e promuovere un’intelligence
aziendale che consenta il corretto posizionamento rispetto al mondo
esterno. Questo è necessario farlo in Italia, un paese che ha storiche
difficoltà nella definizione di una politica industriale, così come la
mancanza di una politica energetica nazionale ed europea, che oggi dipende
per la maggior parte dalle importazioni, indebolisce l’intero continente
rendendolo esposto alle volontà di chi governa il mercato mondiale”.
Altro elemento rilevante, di cui ha fatto cenno Rapisarda, è il ruolo
dell’intelligence economica sviluppatasi in Italia con la riforma della
legge sui Servizi n. 124/2007 e della leva della “Golden Power”
introdotta con il D.L. n. 21/2012, che è un sistema di speciali poteri
d’intervento da parte dello Stato per salvaguardare i settori strategici
nazionali. Circostanza che diventa ancora più importante in momenti di
grande depressione come quello attuale provocato dalla pandemia del
COVID-19. Ha quindi precisato l’alto dirigente dell’Eni: “Ciò che
è accaduto nel nostro Paese con la privatizzazione negli anni ‘90 di tante
aziende pubbliche, ha dimostrato che in alcuni casi sono prevalse logiche
privatistiche e non quelle nazionali, mentre in altre le scelte sono state
determinate dalle crisi dei mercati, dall’eccessiva pressione fiscale
e dalla burocrazia”.
Rapisarda ha quindi proseguito trattando la pandemia Covid-19 che ha
modificato i piani mondiali e dell’esperienza che si sta maturando nella
gestione dell’emergenza.
Ha affermato che la priorità dell’Eni, in questo periodo, è stata sin dal
primo momento la tutela delle persone che, grazie alla propria
organizzazione ed a una buona programmazione frutto di precedenti
esperienze (come quello dell’Ebola e della Sars), ha hanno permesso di
attivare immediatamente un piano di emergenza pandemica. Infatti, si è
consentito a più di 16 mila dipendenti lavorare in smart working senza
creare alcuna interruzione operativa. “Oggi bisogna rielaborare la crisi
per tornare alla normalità – ha proseguito il docente – ed è fondamentale
lavorare in team, comunicare in maniera precisa e puntuale, perché così si
possono affrontare con minori imprevisti i tempi difficili che si
profilano, adottando in maniera rapida ed efficace i provvedimenti
governativi, e allo stesso tempo favorire nuove modalità di lavoro a
distanza come una grande opportunità e non come una limitazione”.
Tra i tanti argomenti, Rapisarda ha anche ricordato come il
supercalcolatore dell’Eni, che è tra i primi 10 al mondo, sia stato messo
a disposizione della ricerca scientifica per l’elaborazione di algoritmi
utili nello studio da parte dei centri di eccellenza italiani nella lotta
al COVID-19. Un modo anch’esso importante di porre le tecnologie
industriali al servizio del bene del Paese”.

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